
Barack Obama ha fatto una scelta di campo in Egitto. Ha formalmente scelto di appoggiare i Fratelli Musulmani. Non si può spiegare altrimenti la sua decisione di sospendere i nuovi aiuti militari al governo provvisorio egiziano. Un carico atteso di pezzi di ricambio per carri armati, elicotteri Apache e missili anti-nave Harpoon rimarrà nei depositi degli Stati Uniti. Sospesi anche aiuti economici per 300 milioni di dollari e crediti pari a 260 milioni. Complessivamente, gli aiuti ammontavano a 1 miliardo e 300 milioni di dollari.
È una buona notizia per quanti vogliono risparmiare soldi, in un periodo di crisi del budget degli Usa. Ma una doccia fredda per il governo provvisorio egiziano, che rischia di ritrovarsi a secco (di armi, soldi e legittimità) nel momento delicato di riforma della Costituzione. La notizia non giunge del tutto come un fulmine a ciel sereno. Si trattava di una scelta annunciata da tempo. Tuttavia giunge come un segnale politico chiaro: l’amministrazione Obama non approva la seconda rivoluzione egiziana conclusasi a giugno, condanna l’estromissione del presidente islamico Mohammed Morsi ed evidentemente condanna in modo ancor più fermo lo scioglimento dei Fratelli Musulmani, decisa nelle scorse settimane dalla magistratura egiziana.
Non ci sono altre spiegazioni logiche, al di fuori del sostegno al partito islamista. Perché il governo militare non ha sospeso la democrazia, ma ha escluso dalla competizione elettorale un’unica formazione (quella dei Fratelli Musulmani) responsabile del collasso del Paese verificatosi fra il 2012 e il 2013. I militari non hanno loro il potere, ma lo hanno affidato a un governo provvisorio civile. I rapporti di forza sono analoghi a quelli che ci sono sempre stati, fin dalla rivoluzione del 2011: i civili governano, l’esercito controlla.
Non è cambiato l’assetto istituzionale. Non si può parlare di vero e proprio “golpe”, perché l’esercito ha assunto il controllo della situazione dopo una rivolta di piazza e una petizione contro Morsi firmata da più di un quarto dell’intera popolazione egiziana. Non è stata neppure sospesa, né stracciata, la Costituzione islamica scritta da Fratelli Musulmani e salafiti (escludendo laici e cristiani), perché attualmente è in corso la sua riforma, da parte di una Commissione dei Cinquanta interconfessionale, a cui partecipano anche laici, cristiani e islamici. Non c’è alcuna soppressione delle elezioni: si terranno il prima possibile.
Il nuovo governo, sostenuto dai militari, ha mantenuto fede ai trattati e agli accordi internazionali, compreso quello con Israele e sta cercando tuttora di ripristinare l’ordine nella Penisola del Sinai (dove proliferano i terroristi). Insomma, non c’è alcuna ragionevole motivazione per rompere i legami con un governo che rispetta la volontà popolare all’interno dell’Egitto e mantiene fede ai trattati all’estero. In compenso, i Fratelli Musulmani hanno dimostrato di voler usare la violenza politica e terroristica per non farsi escludere. E nel corso delle loro numerose sommosse (le ultime delle quali sono avvenute proprio nei giorni scorsi) hanno anche reso noto al mondo di voler colpire i cristiani, bruciando chiese, case, negozi e proprietà della minoranza copta.
Una dimostrazione chiara di quel che sarebbe ancora l’Egitto se fossero rimasti al potere. Ebbene, in queste condizioni, Obama ha deciso di sabotare il governo provvisorio. La sospensione degli aiuti militari è una mossa grave, un segnale pesante. Bastò paventarla, nel gennaio 2011, che Mubarak fu indotto dai suoi stessi generali ad andarsene. Le forze armate egiziane dipendono in larghissima misura dagli aiuti americani, non possono farne a meno. Questo primo giro di vite può annunciarne altri. Per sottolineare che si tratta di un “cartellino giallo”, il Pentagono ha annunciato che la sospensione degli aiuti è “temporanea”.
Si sbloccherà solo quando sarà chiaro che in Egitto si terranno: “elezioni libere e inclusive”. Inclusive dell’unico partito che ne era escluso, Libertà e Giustizia di Morsi, emanazione dei Fratelli Musulmani. Il Dipartimento di Stato è guidato da John Kerry, lo stesso uomo che, quando era senatore, si recò più volte in Egitto a dar man forte a Libertà e Giustizia. È dunque più che evidente che si tratti di una mossa volta a favorire i Fratelli Musulmani.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 15:42