
Cara Beatrice,
in nome di una stima e una amicizia che risalgono ai tempi in cui hai incominciato a distinguerti per capacità e attivismo nella Forza Italia di Roma, mi permetto di chiederti di riflettere attentamente sulle tue più recenti affermazioni. Non su quella che ti è stata strumentalmente attribuita secondo cui Berlusconi ha tentato di far cadere il governo e non ci è riuscito perché battuto. Solo qualche mestatore può pensare che tu possa aver mai detto una frase del genere. Non fosse altro perché denoterebbe una insipienza politica che tu non hai.
Mi riferisco alla tua netta opposizione alla richiesta di un congresso del Pdl motivata dalla necessità di garantire la stabilità di governo fino al 2015 evitando che il partito entri in uno stato di fibrillazione costante destinata a far saltare il difficile equilibrio raggiunto nei giorni scorsi. Se tu non facessi parte dell’esecutivo guidato da Enrico Letta il “no” alla richiesta di una verifica congressuale sarebbe assolutamente normale. Ma tu sei ministro della Sanità di una compagine governativa che, a detta del Presidente del Consiglio, non si regge più sul vecchio equilibrio delle larghe intese stabilito quando il leader del Pdl era Silvio Berlusconi, ma si fonda su un nuovo rapporto politico stabilito dal vicepremier e segretario del Pdl, Angelino Alfano, dopo aver sconfitto il tentativo di Berlusconi di aprire la crisi.
Di fatto, quindi, a detta non di un osservatore qualunque ma dello stesso Presidente del Consiglio, la tua presenza nel governo non è più in rappresentanza di Berlusconi, che avrebbe perso la partita interna del Pdl, ma di Alfano che l’avrebbe vinta. Logica vorrebbe che, essendo cambiata la natura politica del governo, un Pdl impegnato nella ricostruzione della propria unità interna, discutesse dell’argomento insieme con la propria base elettorale. Tanto più che il titolo di legittimazione del segretario e vicepresidente del Consiglio, dei componenti della delegazione ministeriale e, in generale, di tutti i massimi dirigenti del partito, non è il frutto di una qualche investitura dal basso ma solo dalla designazione dall’alto di Silvio Berlusconi.
Ma se, come dice Enrico Letta, questa legittimazione è saltata, a che titolo il segretario e vicepremier continua a svolgere le sue funzioni, i ministri le loro e i dirigenti rappresentativi solo di se stessi a contendersi un patrimonio di idee e di valori che in parte è del leader storico ma in gran parte del popolo del centrodestra? Si dirà che l’esigenza di stabilità deve necessariamente prevalere su queste considerazioni. Anche su quella che ad azzerare le cariche del Pdl ci ha già pensato Enrico Letta prima di quanti chiedono il congresso. Ma tra qualche mese ci sarà un turno importante di elezioni amministrative e, subito dopo, la celebrazione di elezioni europee destinata a diventare un test di fondamentale importanza non tanto per la tenuta del governo quanto per la sorte del centrodestra.
Le elezioni, in sostanza, diventeranno un congresso di fatto. A cui, cara Beatrice, arriverete tutti, colombe e falchi, governativi e lealisti, totalmente delegittimati agli occhi di quel popolo di moderati di cui ostinatamente non si vuole ascoltare la voce. Certo, rimettersi in gioco rinunciando alla designazione dall’alto di Berlusconi e cercando l’investitura dal basso dei cittadini non è un’impresa facile. Ma è il metodo democratico. Che, presto o tardi, impone la sua regola. Non sarebbe il caso, prima che questa regola diventi devastante, che la nomenklatura dei miracolati trovasse il modo, con le primarie, con un congresso, con un’assemblea nazionale, con una effettiva apertura alla società civile, di ascoltare le voci di chi ha permesso con il proprio consenso che i miracoli avvenissero? Con la stima e l’amicizia di sempre.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:51