Cav, Pdl e la sinistra Riflessioni post fiducia

Solo il tempo dirà se Berlusconi abbia sbagliato o abbia fatto bene a concedere la fiducia al governo Letta. Tuttavia, già ora è possibile avanzare qualche riflessione in proposito. Innanzitutto, affermare, come ripete in continuazione la sinistra, che le vicende giudiziarie di Berlusconi sono un fatto privato e non debbono assurgere a rango di questione politica è un’ipocrisia bella e buona. Infatti, si dà il caso che ogni essere umano non sia scindibile e perciò che neppure Berlusconi lo sia. Sostenere che la condanna di Berlusconi sia soltanto un fatto privato che non deve interessare la politica sarebbe come affermare che i congiurati che uccisero Cesare dovevano essere perseguiti soltanto come omicidi e non come eversori politici: affermarlo sarebbe ridicolo e grottesco. È del tutto evidente che ogni vicenda che tocchi il capo di un grande schieramento politico non può che farsi cogliere come fatto politico essa stessa: ed anche quella di Berlusconi lo è, anche se a molti fa comodo negarlo.

Prima faceva comodo solo alla sinistra; adesso sappiamo che fa comodo anche ad una settantina fra deputati e senatori del Pdl, quanti sembrano siano accorsi al richiamo di Alfano e Cicchitto. Ci si chiederà: e cosa doveva fare la sinistra? Passare sopra alla sentenza della Cassazione che condanna Berlusconi? Vilipendere la magistratura? Far finta di nulla? Per niente! Se la sinistra fosse stata politicamente accorta e soprattutto libera dalla ossessione ideologica – e che credo ormai abbia assunto i contorni patologici di una nevrosi collettiva – di Berlusconi, avrebbe dovuto preliminarmente riconoscere che, volenti o nolenti, la condanna di Berlusconi era ed è un fatto “anche” politico e tale che perciò la politica non può disinteressarsene. Detto questo – che è il minimo sindacale – la sinistra avrebbe dovuto trovare soluzioni politiche che fossero al tempo stesso giuridicamente percorribili.

E di queste almeno una c’è : interrogarsi, anche attraverso una espressa richiesta alla Corte Costituzionale, circa la retroattività della legge Severino. So bene che anche qui è pronto il muro ideologico della sinistra, subito eretto l’altra sera a “Porta a Porta” da Roberto Speranza – capogruppo alla Camera del Pd – il quale ripeteva , come fosse un mantra, che è impossibile porsi tale quesito, in quanto pare (ma siamo proprio sicuri?) che 27 altre persone, trovandosi in analoga situazione, si siano già visti applicare la legge Severino in senso retroattivo e perciò non si può fare eccezione per Berlusconi. Il ragionamento di Speranza pecca due volte: una in senso giuridico e una in senso politico. In senso giuridico, perché il fatto che si sia commesso un errore una, dieci, cento volte (applicando quella retroattività) non vuol dire che si debba continuare a commetterlo, chiudendo gli occhi di fronte a una questione molto seria: anzi, se errare è umano, perseverare, come è noto, è diabolico.

Forse, poi, Speranza ignora che la Consulta, allorché dichiara una norma illegittima se interpretata in un certo modo, la cassa con effetto, questo sì, retroattivo : ne viene perciò che se la Corte, investita dell’esame della legge Severino, ne fornisse una interpretazione corretta in senso non retroattivo, anche quei 27 soggetti si potrebbero giovare di tale decisione e le ragioni della giustizia sarebbero perciò affermate per tutti in modo paritario. Ma per ragionare in questo modo bisognerebbe coltivare il senso del diritto, il quale però – come ribadiva spesso Leonardo Sciascia – in Italia è purtroppo quasi assente: meglio far finta di nulla e ripetere meccanicamente una assurda lezioncina mandata a memoria. Ma l’errore più grave è quello politico. Non capire che la “pacificazione” fra gli schieramenti e perciò la tenuta del governo erano strettamente legate alla soluzione politica del problema è vera cecità politica e bisognerebbe rimandare a scuola di ripetizione quanti, in tal modo cianciando, evitano di esercitare il mestiere del pensiero.

E tuttavia, il fatto nuovo è che questa volta anche alcune decine di senatori e deputati berlusconiani non hanno compreso il dato politico da un doppio versante, fuoriuscendo di fatto dal partito (e non importa se i nuovi gruppi parlamentari saranno o no costituiti). Essi hanno mostrato infatti, per un verso, di voler anteporre la stabilità del governo Letta ad ogni altra questione, compresa quella sulla libertà personale di Berlusconi. In tal modo hanno perso, e non guadagnato, ogni benemerenza, perché un governo come quello attuale che non capisce che aumentando di un punto l’Iva, il gettito fiscale diminuisce, è un governo da mandare subito a casa. Anche perché è forte il sospetto che, sia pure con più grazia di Monti, Letta stia continuando a prendere ordini dalla Merkel. Per altro verso, hanno pensato di poter fare a meno di Berlusconi. E forse è vero in Parlamento. Non è vero fra la gente e nell’elettorato moderato.

Infatti, finita la ricreazione del governo Letta, quando si tornerà a votare (qualsivoglia sia il sistema elettorale), quanti voti pensate che prenderà Quagliarello? E quanti Cicchitto? E Giovanardi? Solo a pensarci, viene da ridere, perché tutti questi non hanno capito che se sono dove si trovano oggi, lo debbono solo a Berlusconi e che perciò affrancarsi da lui per loro non è una liberazione, ma una condanna: all’insignificanza politica. Fini – che pure alle spalle aveva un partito suo di oltre il 12% – docet.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 15:44