
Il difficile, per Angelino Alfano e gli “alfaniani”, viene adesso. Ora che hanno incassato il boato degli applausi dei grandi media nazionali, gli apprezzamenti sperticati degli ex avversari del Partito Democratico, il riconoscimento del loro ruolo essenziale da parte
del Presidente del Consiglio, Enrico Letta, e la soddisfatta benedizione del vero regista di tutta l’operazione “santo parricidio” conclusasi mercoledì scorso, cioè il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Il difficile non consiste tanto nella prosecuzione della battaglia per la conquista del Pdl e per la cacciata dei falchi verso una nuova Forza Italia da bollare come estremista per renderla progressivamente marginale e inutile. Consiste nel definire e assumere, all’interno di una maggioranza in cui per ammissione del Premier si ha un ruolo decisivo, un’identità chiara e definita per concretizzare l’ambizione di diventare, come ha detto Fabrizio Cicchitto, una forza di centrodestra europea e del futuro.
Il terreno su cui Alfano e i suoi sostenitori possono muoversi per perseguire questo obiettivo è molto stretto. Perché “l’operazione parricidio” non è riuscita alla perfezione visto
che il padre da decapitare non è affatto morto e viene sempre riconosciuto come il padre nobile a cui continuare a fare riferimento. E questa presenza non può non continuare a determinare l’identità politica della “nuova forza di centrodestra europea e del futuro”. Alfano ha avuto un’intuizione felice nel definire se stesso e i suoi come “diversamente berlusconiani”. Ma adesso deve andare oltre la battuta. E riempire di contenuti e di comportamenti politici la rivendicata diversità.
Fino ad ora il vicepresidente del Consiglio ha avuto gioco facile a vestire i panni del “delfino” regicida tra il tripudio generale. Adesso deve affrettarsi a svestirsi di questa
maschera, che alla lunga rischia di trasformarlo in un emulo di Gianfranco Fini agli occhi dei milioni di elettori berlusconiani del centrodestra. E far capire che il suo ruolo determinante nella maggioranza delle larghe intese non serve solo a tranquillizzare Letta, far felice Napolitano e consentire al Pd di ubriacarsi di gioia per la “morte” del caimano. Ma deve assicurare il popolo del centrodestra di essere rappresentato all’interno della coalizione delle larghe intese da gente che non si preoccupa solo di conservare le poltrone di ministro e di parlamentare, ma porta anche avanti le istanze e le richieste dell’area dei moderati. Il paradosso, in sostanza, è che consumato un parricidio Alfano deve affrettarsi a compierne un altro, nei confronti del Presidente della Repubblica e del Presidente del Consiglio. E deve farlo per sfuggire al pericolo di essere bollato come la stampella della sinistra o, peggio, come il “ diversamente democristiano” compagno di merende di Letta, Casini e Monti.
Se prima il ruolo di Alfano era di mediare tra le durezze del Cavaliere e dei falchi e le esigenze della tenuta del governo, ora il vicepresidente del Consiglio non può mediare su
nulla. Sulla riforma della giustizia, sulla riduzione della pressione fiscale, sulle riforme costituzionali deve far pesare in prima persona il proprio ruolo determinante della tenuta della coalizione di larghe intese. Il tutto senza dimenticare che il Re non è affatto morto. E che i suoi elettori aspettano il momento in cui il Senato lo espellerà da Palazzo Madama e le Procure di mezza Italia faranno a gara per arrestarlo per capire il significato reale della definizione “diversamente berlusconiani”.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 15:11