Il richiamo della foresta per Napolitano

Le Procure di Milano, Napoli e Bari hanno iniziato la corsa a chi arriverà per prima a mettere le manette ai polsi a Silvio Berlusconi non appena l'assemblea di Palazzo Madama avrà votato la sua decadenza da senatore. Di fronte a questa prospettiva l'intero Pd, sia quelli che puntano alle elezioni anticipate per rinviare il congresso e bloccare l'ascesa di Matteo Renzi, sia i renziani convinti che solo con le elezioni anticipate il sindaco di Firenze può conquistare il partito ed il governo, gongola e si frega le mani all'idea di poter andare al voto a febbraio con il principale antagonista chiuso in cella e schiacciato dal peso di una insopportabile gogna mediatica.

La partita non è, allora, tra il Cavaliere ed i magistrati che lo vogliono in galera sopraffatto da ogni genere di imputazione. Non è una partita personale. E' solo ed esclusivamente politica. Perché se il Pd volesse potrebbe disinnescare la bomba del carcere per il leader del Pdl rinviando alla Corte Costituzionale la interpretazione della legge Severino ed accontentarsi della interdizione dai pubblici uffici che il Tribunale di Milano deciderà comunque per il Cavaliere. Ma il Pd, con la scusa dei grillini che incalzano, non ha alcuna intenzione di perdere l'occasione offerta dall'uso politico della giustizia.

Vede la possibilità di stravincere le prossime elezioni grazie alla eliminazione per via giudiziaria di Berlusconi. E non vuole assolutamente perdere l'occasione di fare piazza pulita del centro destra sfruttando le manette ai polsi del Cavaliere. Giorgio Napolitano sostiene che questo non è un colpo di stato. E formalmente ha ragione.

 Che c'entrano le inchieste delle Procure di Milano, Napoli e Bari con la speranza del Pd di vincere le elezioni sfruttando l'occasione dell'espulsione dalla politica del principale avversario? Così, in nome del formalismo giuridico e costituzionale a cui si deve attenere il Quirinale, il Presidente della Repubblica condanna la difesa che i parlamentari del Pdl fanno di Berlusconi, difende la separazione tra i poteri dello stato e lascia intendere che l'unico modo per uscire da questa situazione sia che il centro destra abbandoni al proprio destino ormai ineluttabile il proprio leader e si rassegni a seguirne la sorte subendo una sconfitta elettorale da cui sarà impossibile risollevarsi.

 Berlusconi ed i suoi parlamentari sono convinti che dietro la linea del formalismo giuridico del Colle si nasconda la convinzione di Napolitano che l'unico modo per risolvere i problemi del paese sia quello di eliminare una volta per tutte l'”anomalia “ rappresentata dalla presenza del Cavaliere sulla scena politica nazionale. Napolitano, quindi, secondo questa tesi, non sarebbe affatto un arbitro al di sopra delle parti ma starebbe favorendo la speranza della sinistra di vincere la prossima partita elettorale grazie all'esclusione del proprio principale avversario. Tesi esasperata? Può essere.

 Ma a renderla tale contribuisce il comportamento dello stesso Giorgio Napolitano. Che non si muove come una istituzione di garanzia ma come il principale soggetto politico del paese che sfrutta l'autorevolezza del Quirinale per decidere i destini delle diverse forze in campo e decretare la fine del centro destra ed il trionfo della sinistra. Colpo di stato? Più che altro richiamo della foresta!

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 15:20