
Non fu un armistizio. Fu una resa a discrezione. Per ricordare correttamente il settantesimo anniversario dell'8 settembre del 1943 si sarebbe dovuto, prima di far scattare la solita vulgata retorica secondo cui la rinascita democratica dell'Italia scattò proprio nel giorno della disfatta, fare chiarezza su quella mistificazione. Non solo in nome della verità storica. Ma soprattutto per una esigenza concreta del presente.
In particolare per meglio individuare, nel momento in cui la crisi siriana alimenta venti di guerra in un Mediterraneo in cui l'Italia non può cancellarsi, la strada maestra che il paese dovrebbe seguire per meglio tutelare il proprio futuro. La sconfitta militare del '43 segnò, con la “morte della Patria” indicata da Salvatore Satta e ribadita da Ernesto Galli della Loggia, la rinuncia da parte delle classi politiche e dirigenti dell'epoca e di quelle successive al perseguimento dell'interesse nazionale e la scelta obbligata di affidarsi agli interessi sovranazionali. Fossero quelli degli Alleati o dei nazisti fino al '45, quelli americani o sovietici per la durata della guerra fredda fino alla caduta del Muro di Berlino o quelli dell'Unione Europea e delle Nazioni Unite fino ai giorni nostri. Per settant'anni, in sostanza, la sconfitta ha comportato, se non la rinuncia completa, la sostanziale subordinazione dell'interesse nazionale a quello delle istituzioni sovranazionali.
L'esempio attuale è la linea del governo Letta di non compiere scelte di alcun genere sulla vicenda siriana se non in seguito ed in ottemperanza a ciò che verrà deciso dall'Onu. Nel frattempo, però, un fenomeno nuovo si sta delineando nel pianeta. Il Parlamento britannico ha bocciato la proposta di intervento militare inglese in Siria avanzata dal Primo Ministro Cameron. Ed il Presidente Obama, che pure avrebbe potuto decidere autonomamente, ha chiesto al Congresso degli Stati Uniti un voto vincolante per la missione punitiva nei confronti del regime di Assad. Questi Parlamenti decidono in nome degli interessi nazionali dei rispettivi paesi. E così si muovono tutte le altre nazioni, dalla Russia, alla Francia, alla Germania per non parlare della Cina, dei paesi emergenti dell'Asia e del Sud America fino a quelli del variegato e convulso mondo arabo. La crisi siriana, in altri termini, sta provocando la crisi delle istituzioni sovranazionali ( l'Onu è paralizzato e l'Unione Europea manifesta soprattutto in occasioni come questa la propria inconsistenza politica ) ed il ritorno delle istituzioni nazionali.
Sono, infatti, i parlamenti dei singoli stati che assumono decisioni tenendo conto solo ed esclusivamente dei rispettivi interessi nazionali. Il fenomeno non può non toccare anche l'Italia. Che non sempre potrà, come stanno facendo il governo Letta ed Emma Bonino, nascondere l'interesse nazionale al non intervento in Siria dietro lo schermo di un Onu paralizzato dai veti incrociati delle grandi potenze. Ma, presto o tardi, dovrà assumersi nuovamente le proprie responsabilità prendendo atto che il dopoguerra è finito non solo sul piano interno ma anche su quello internazionale e che il perseguimento dell'interesse nazionale è tornato a rappresentare il prioritario obiettivo del paese!
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:52