Vent'anni dopo, Epifani come Occhetto

L'artefice principale del complotto antigovernativo di cui ha parlato nei giorni scorsi Gaetano Quagliariello si è svelato. Si tratta del segretario del Partito Democratico Guglielmo Epifani, che nel momento in cui ha dichiarato al Corriere della Sera che la legalità, cioè l'espulsione di Silvio Berlusconi dalla scena politica viene prima della stabilità del governo delle larghe intese, ha di fatto condannato a morte l'esecutivo guidato da Enrico Letta e preannunciato che la sentenza verrà eseguita non appena il Porcellum verrà sostituito con una nuova legge elettorale approvata da “chi ci starà”. Le presa di posizione del segretario del Pd non si presta ad equivoci. Può essere che la pausa estiva lo spinga a mitigare la promessa di cambiare la legge elettorale con chi ci sta, cioè grazie ad un accordo con il Movimento Cinque Stelle.

Ma è certo che la sua richiesta di pronta applicazione della pena comminata a Berlusconi dalla Cassazione senza correttivi o mitigazioni di sorta costituisce la dimostrazione più clamorosa della sua volontà di chiudere al più presto la fase del governo di scopo di Enrico Letta per cogliere al volo l'occasione offerta dalla sentenza della Cassazione e sbarazzarsi una volta per tutte del principale antagonista della sinistra degli ultimi vent'anni. Il calcolo di Epifani è semplice. La fine della Prima Repubblica avvenne nel momento in cui la magistratura creò le condizioni per la morte politica di Bettino Craxi e, di seguito, dell'intero sistema dei partiti democratici del dopoguerra. La fine della Seconda Repubblica non può non avvenire dopo che la magistratura ha creato le condizioni per la morte politica di Silvio Berlusconi. Epifani, in sostanza, vede nella sentenza della Cassazione l'equivalente delle monetine del Raphael. E conta di approfittare della decapitazione per via giudiziaria del leader carismatico del centro destra per lanciare il Partito Democratico verso l'obbiettivo di elezioni anticipate destinate a trasformare la sinistra nella forza dominante del paese. La linea di Epifani non fa una grinza. Conta di salire sul ring elettorale e di vedersela con un avversario a cui hanno legato le mani dietro la schiena.

Perché mai non dovrebbe approfittare di una occasione così propizia che, oltre tutto, cade a pennello per bloccare l'ascesa di Matteo Renzi verso la segreteria contrapponendo al sindaco di Firenze l'attuale Presidente del Consiglio Enrico Letta? A questo interrogativo non c'è risposta razionale. Tranne una sola considerazione. Che consiste nel ricordare come il ragionamento dell'attuale segretario del Pd sia assolutamente simile a quello che spinse vent'anni addietro l'allora segretario del Pds, Achille Occhetto, ad approfittare del crollo della Prima Repubblica per giocare una partita elettorale che sembrava stravinta in partenza. Tutti ricordano la fine inattesa della magnifica macchina da guerra guidata da Occhetto. E forse farebbe bene a ricordarlo anche Guglielmo Epifani. Che con la sua scelta di andare allo scontro frontale non rischia solo di ricompattare in un fronte unico i falchi e le colombe del Pdl ma di costringere anche i più riluttanti del fronte dei moderati italiani a fare di nuovo quadrato contro una sinistra che non punta le sue fortune su un disegno di innovazione e cambiamento per il paese, ma solo sulle difficoltà di un avversario provocate da una magistratura irresponsabile così perfettamente rappresentata dal giudice Esposito.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 15:34