
Non c'era bisogno dell'intervista al "Corriere della Sera" di Gaetano Quagliariello per sapere che il gruppo dirigente del Pdl è diviso tra il cosiddetto partito di lotta ed il cosiddetto partito di governo. E non c'è neppure bisogno di grande acume nell'immaginare che se gli aderenti al partito di lotta fossero al governo e quelli del governo fossero al posto dei loro concorrenti le posizioni sarebbero ribaltate. Si sa come funzionano certe vicende nella politica italiana. E non ci si può certo scandalizzare se troppo spesso le scelte degli uomini dipendono dalle loro convenienze personali. La denuncia di Quagliariello secondo cui domenica scorsa i falchi del Pdl, in combutta con quelli del Pd (anche i democratici sono divisi tra partito di lotta e partito di governo), avrebbero voluto far saltare l'esecutivo Letta-Alfano, rientra perfettamente nello schema del contrasto tra governativi ed antigovernativi. Ma ha un difetto che non può essere nascosto.
Quello di arroventare il clima interno al Pdl senza indicare lo sbocco politico a cui l'eventuale resa dei conti tra chi sostiene le larghe intese e chi le vuole al più presto eliminare dovrebbe essere indirizzata. Non si tratta di un difetto che riguarda il solo Quagliariello o gli altri componenti della rappresentanza ministeriale del Pdl nel governo. Anche i governativi del Pd sono afflitti dallo stesso difetto. Che consiste nella totale assenza di una prospettiva politica di medio o lungo respiro per i due partiti di governo esistenti nelle forze politiche maggiori. Né i governativi del Pdl, né quelli del Pd, infatti, hanno il coraggio di ipotizzare per le larghe intese un destino diverso dalla formula contingente ed accidentale per una fase d'emergenza destinata a concludersi nel minor tempo possibile. Qualcuno sostiene che i partiti di governo del Pdl e del Pd sono in realtà le due facce di un unico partito che potrebbe essere definito il partito di Napolitano. Cioè il partito della stabilità contro la crisi al buio o il governo dominato dagli sfascisti di Beppe Grillo. Ma il difetto del partito di Napolitano è che non riesce a guardare oltre Napolitano.
E non perché possa mancare qualcuno in grado di elaborare una strategia di più lungo respiro ma perché non esistono le condizioni capaci di rendere concreta una strategia del genere. Il Pdl lo ha già verificato quando ha registrato che un partito privo del simbolo del bipolarismo e della democrazia dell'alternanza, cioè di Silvio Berlusconi, a malapena raggiungerebbe il 15 per cento. E nel Pd si da per scontato che il giorno in cui il partito di governo impersonificato da Enrico Letta dovesse prevalere su quello di lotta la scissione sarebbe certa lasciando i governativi con meno del 10 per cento. Il difetto, dunque, è che per andare oltre Napolitano il partito che prende il suo nome dovrebbe avere la forza di proporre il ritorno al sistema tolemaico della Prima Repubblica, quello segnato da un centro di grande forza provvisto di satelliti minori ruotanti attorno ad esso. Ma, fino ad ora, negli ultimi vent'anni qualsiasi tentativo di riesumare il centrismo è miseramente fallito. Come ben sanno i vari Monti, Casini, Fini e tutti i post-democristiani dell'uno e dell'altro schieramento. Ed allora che senso ha, come ha fatto Quagliariello, ufficializzare lo scontro sotterraneo esistente nel Pdl? Forse quello di annunciare l'avvio di una lunga marcia per andare oltre il bipolarismo? Urgono chiarimenti in proposito.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 15:33