
L'assenza di una alternativa di governo, ribadita dalla conferma data da Gianroberto Casaleggio che il Movimento Cinque Stelle non farà mai una alleanza con il Pd, blinda le larghe intese almeno fino al 2015. E declassa tutte le vicende che potrebbero provocarne la fine anticipata a degli incidenti di percorso destinati comunque ad essere comunque superati.
La prospettiva politica, dunque, non è quella della crisi a breve per la sentenza della Cassazione su Berlusconi o in autunno per gli effetti del congresso del Pd. È, al contrario, quella di una stabilità che la risposta data da Giorgio Napolitano alla enfatica provocazione lanciatagli dal redivivo Fausto Bertinotti rende praticamente forzata se non obbligatoria.
Il governo Letta, dunque, ha la possibilità di sfruttare la fase di stabilità che gli viene offerta dalla condizioni politiche e dalla determinazione del Presidente della Repubblica. Ma per farlo deve preventivamente uscire dalla logica della precarietà e della eccezionalità che lo ha prodotto ed assumere la consapevolezza che la precarietà e l'eccezionalità iniziali si sono trasformate in una singolare da decisa blindatura. L'operazione non è semplice. Deve partire dalla fine delle recriminazioni per la partecipazione ad un governo diverso da quello che si sarebbe voluto. E, quindi, dalla chiusura della fase del “non lo faccio per piacere mio ma per far piacere a Napolitano”. Deve proseguire attraverso una presa d'atto ufficiale dello stato di stabilità. Che potrebbe essere il patto di legislatura proposto da Renato Brunetta ma anche una qualche altra formula capace di rassicurare il paese che la crisi non è più dietro l'angolo. E deve completarsi con l'avvio concreto delle riforme più necessarie, da quelle istituzionali a quelle relative al fisco, al lavoro, alle autonomie, alla giustizia.
Certo, la blindatura consente al governo Letta di vivacchiare alla giornata. E di rimanere fermo allo stato di precarietà iniziale segnato dal rischio di crisi e di elezioni anticipate. Ma tutto questo non solo provoca danni irreparabili al paese ma complica l'esistenza di tutte le forze politiche che hanno dato vita alla larghe intese. Per bizzarra coincidenza, infatti, sia il Pd, sia il Pdl e sia Scelta Civica si trovano all'inizio di una fase di ristrutturazione e di chiarimento interno ed avrebbero tutto l'interesse a sfruttare la stabilità del governo per meglio risolvere le proprie particolari questioni. Il Pd, visto che le elezioni diventano lontane, deve scegliere un segretario in grado di occuparsi di un partito che si ostuna ad avere una struttura di tipo tradizionale pur avendo perso centinaia di migliaia di iscritti negli ultimi dieci anni. Il centro destra è obbligato a compiere una operazione di scomposizione e di ristrutturazione completa. Che dovrebbe prevedere una qualche rinascita della destra degli ex An, la rinascita di Forza Italia nella versione 2.0 e, soprattutto, la creazione di un rassemblement in cui far confluire tutte le forze decise a fronteggiare la crisi all'insegna dei valori liberaldemocratici. Scelta Civica, nelle sue versione montiana e casiniana , deve scegliere una volta per tutte la sua collocazione e la sua conseguente organizzazione.
I partiti della maggioranza, dunque, hanno bisogno di tempo. E la stabilità consente loro di averlo senza pagare prezzi eccessi visto che la prospettiva elettorale si allontana e consente di ridurre la propaganda in favore delle scelte concrete. L'occasione è straordinaria. Ma si riuscirà mai a coglierla senza fare regali agli sfascisti di Beppe Grillo?
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:51