Quando il pregiudizio prevale sul giudizio

Giudizio o pregiudizio ? Questo è il problema. Per nulla amletico ma fin troppo concreto. Perché se il Tribunale di Milano emette una condanna a sette anni nei confronti di Silvio Berlusconi al termine di un processo in cui non è emersa alcuna prova a carico dell'imputato e se il Tribunale di Pescara commina nove anni all'ex Governatore dell'Abruzzo Ottaviano Del Turco senza che nel dibattimento sia emersa alcuna prova concreta della presunta corruzione del personaggio in questione, il dilemma diventa obbligatorio.

In una epoca in cui è diventato un luogo comune affermare che le sentenze non si discutono ma si applicano, può sembrare eversivo ed offensivo porre la questione se in casi come quelli sopra citati il pregiudizio, politico, morale o semplicemente umorale, abbia condizionato il giudizio. Eversivo rispetto ad un sistema giudiziario inteso come un organismo sacrale provvisto del dono dell'infallibilità simile a quello assicurato da Pio IX ai pontefici romani. Offensivo nei confronti dei magistrati che hanno emesso le sentenze in questione e che non possono sicuramente accettare serenamente il sospetto di aver amministrato giustizia non sulla base del libero convincimento ma di un qualche particolare pregiudizio.

In realtà, però, porre l'interrogativo di partenza non è né eversivo, né offensivo. È solo la legittima reazione alla constatazione che troppo spesso i Tribunali di prima istanza sono portati a fare propria la posizione della Pubblica Accusa mentre quelli dei successivi gradi di giudizio, che operano lontano dai fatti e quando il clamore mediatico sulle vicende si è sopito, tendono a considerare con maggiore attenzione le posizioni della Difesa.

Le eccezioni, naturalmente, non mancano. Come dimostra l'assoluzione in primo grado del generale Mori a Palermo. Ma queste eccezioni sono troppo esigue per diventare regola. Così appare una sorta di prassi consolidata quella secondo cui i magistrati siano più sensibili al pregiudizio accusatorio all'inizio dell'iter processuale dei tre gradi di giudizio e tendano al giudizio privo di pregiudizi nelle fasi successive.

La ragione di questo fenomeno non è ella presunta protervia di chi deve amministrare la giustizia ma solo ed esclusivamente del conformismo politico e culturale diventato egemone nel paese e che che considera giustizia solo ciò che si traduce in manette, pene e prigioni ovviamente superaffollate.

Questo conformismo non aiuta il sistema giudiziario e non alimenta la fiducia dei cittadini nei confronti dei giudici. Al contrario, tende a trasformare il sistema in un semplice strumento di pubblica vendetta e a portare sempre più in basso il livello della credibilità e della autorevolezza dei magistrati giudicanti troppo ossequienti alle volontà dei magistrati inquirenti.

Battersi contro questo fenomeno non ha nulla di eversivo o di offensivo. È solo legittima difesa dei cittadini che non chiedono privilegi ma una giustizia giusta senza pregiudizi di sorta.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:52