Renzi “fa l'americano” ma si trova in Italy

Matteo Renzi, sindaco di Firenze, ha avviato un tour internazionale per incontrare in successione la Cancelliera tedesca Merkel e il Presidente Usa Obama. Può essere che nel corso dei colloqui inviti i suoi importanti interlocutori a visitare Palazzo Vecchio e gli altri tesori della sua città d'arte. Ma è sicuro che li informi della intenzione di candidarsi alla segreteria del Pd ed alla guida del governo italiano. Ed è ancora più certo che, al di là delle risposte o delle eventuali benedizioni che potrà ricevere, userà il fatto stesso di essere stato ricevuto dai due tra i maggiori leader politici mondiali per la sua campagna diretta a conquistare la leadership del proprio partito e la premiership italiana.

La strategia di Renzi è perfetta per l'elezione diretta del segretario del Pd o, se vogliamo, per le primarie che dovrebbe precedere l'incoronazione del successore del traghettatore Guglielmo Epifani alla segreteria del Partito Democratico. Ed è ancora più perfetta se si considera che nel disegno del sindaco di Firenze l'elezione a segretario dovrebbe coincidere con l'investitura a candidato premier e preludere alla campagna per l'elezione diretta a capo del governo nazionale. Sarebbe ancora più perfetta, però, se il Pd fosse il Partito Democratico americano e se il sistema istituzionale del nostro paese fosse lo stesso di quello degli Stati Uniti. Renzi, in sostanza, si muove come se il proprio partito fosse diventato presidenzialista ed il Parlamento prima ed un successivo referendum poi avessero decretato la fine della Repubblica parlamentare e l'avvento di quella presidenziale (o semipresidenziale).

Il suo comportamento non è una novità. Prima di lui il marketing elettorale presidenzialista adattato alla realtà istituzionale parlamentarista è già stato adottato con indiscusso successo da Silvio Berlusconi. E non solo. Perché i vari Di Pietro, Ingroia, Vendola, Monti e Casini hanno fatto lo stesso imitando il Cavaliere ed infischiandosene bellamente dell'inesistenza nella nostra Costituzione dell'elezione diretta del Premier o dei segretari dei partiti. Se Renzi avesse alle spalle un partito personale o un partito con regole interne ispirate ad un modello presidenziale ancora da realizzare non ci sarebbero problemi di sorta. Il guaio, per il sindaco di Firenze, è che si comporta da Berlusconi avendo alle spalle un partito che da vent'anni a questa parte ha fissato nel suo Dna la ripulsa assoluta di ogni forma di berlusconismo, cioè del modello politico che si ispira al presidenzialismo ed è caratterizzato dalla scelta diretta di un leader destinato a competere per la premiership. Può essere che con il suo sfrenato personalismo il sindaco di Firenze che corre per la segreteria e la Presidenza del Consiglio riesca a modificare il Dna del Partito Democratico. Ma l'operazione si preannuncia lunga e niente affatto indolore. Forse, prima ancora di andare dalla Merkel e da Obama, Renzi avrebbe dovuto fare una visitina a Rosi Bindi!

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 15:29