
Marina Berlusconi ha correttamente smentito di essere intenzionata ad assumere impegni di sorta nella politica attiva. E non c'è alcun motivo per dubitare della sua affermazione. Non fosse altro che anche nelle dinastie repubblicane vale la regola delle dinastie monarchiche secondo cui si regna uno per volta . E fino a quando il padre Silvio rimane sul trono di leader del centrodestra, la figlia Marina non può far altro che negare di essere pronta a sostituirlo. Preso atto che il Cavaliere non abdica e che la figlia non gli succede, però, non si può non riflettere sull’eventualità che a dispetto della legge salica cara ai Savoia e agli Agnelli (tanto per rimanere in Italia e tra i reali dell'aristocrazia e della finanza), il capostipite Silvio decida , dopo una possibile “ brumal Novara” di tipo giudiziario, di trasmettere alla primogenita l'investitura a leader del centrodestra italiano.
Si tratta di un’ipotesi impossibile o, almeno sulla carta, del tutto razionale? La risposta non viene solo dalle metafore di tipo monarchico, che hanno il merito di rendere credibile l'eventualità ma anche il torto di farla apparire una sorta di reperto del passato. Ma viene soprattutto dall'esperienza del presente, quella della formazione delle leadership nell'era della comunicazione, dell'immagine e del marketing politico, che rende l'ipotesi non solo praticabile ma anche incredibilmente appetibile per le sue concrete possibilità di successo. L'esempio dei Savoia e degli Agnelli, infatti, passa in seconda linea di fronte alle dinastie repubblicane dei Kennedy, dei Bush, dei Clinton. E perde completamente di peso alla luce di come nelle democrazie avanzate del tempo presente nascano e si consolidino le leadership politiche. L'epoca in cui i leader si formavano alla dura e lunga scuola dei partiti è finita da un pezzo.
I partiti tradizionali non esistono più. E la dimostrazione non è solo la leadership di Silvio Berlusconi nata come Araba Fenice dai partiti democratici della Prima Repubblica inceneriti dalla rivoluzione giudiziaria. Ma è, soprattutto, l'apparizione della cometa Matteo Renzi nel firmamento della sinistra italiana, cometa venuta fuori non da una lunga e formativa militanza nei partiti del fronte progressista, ma da un uso accorto e professionale del marketing politico. Al punto che Renzi venga visto dalla parte tradizionale e ortodossa del Pd come un corpo estraneo di natura sostanzialmente identica a quella dell'odiato Cavaliere. I nuovi leader, dunque, possono nascere anche senza partiti di riferimento, dal marketing politico o da circostanze eccezionali che ne favoriscono l'apparizione e il successo. Beppe Grillo non sarebbe mai diventato il capo di un movimento del 25 per cento se non avesse intercettato l'antipolitica di un quarto degli italiani. E Mario Monti sarebbe rimasto un professore imprestato alle alte cariche burocratiche dello Stato se la crisi e Giorgio Napolitano non lo avessero trasformato in un inappropriato personaggio politico di prima grandezza. Marina Berlusconi, quindi, nel caso la persecuzione giudiziaria dovesse provocare l'espulsione traumatica e violenta dalla politica del padre Silvio, potrebbe sicuramente raccoglierne l'eredità all'interno del centrodestra.
Con i vantaggi di un nome a cui non serve alcuna forma di promozione, ma che ha il traino di una ventennale persecuzione mediatico-giudiziaria, di un consenso pronto a passare in blocco da padre in figlia in nome della difesa dei valori di libertà contro le prepotenze e l'autoritarismo della sinistra fondamentalista, di una capacità e di una credibilità personali messe in mostra alla guida di un’impresa storica come la Mondadori, di una età e di una natura femminile che la mettono in condizione di poter giocare una carta innovativa e rivoluzionaria. Quella di poter diventare una Thatcher italiana! Se così fosse, ben venga anche la dinastia berlusconiana!
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:52