
Dov’è il bandolo di questa matassa aggrovigliata e confusa? Non mi riferisco ai tanti problemi che angustiano gli italiani e riempiono le cronache, tutti difficili, urgenti, decisivi: l’occupazione, i consumi, gli investimenti, la produttività, le riforme istituzionali, la legge elettorale… Penso alla scelta alla quale sempre la politica ci costringe. Qual è la scelta politica più significativa di oggi? Intendo la scelta che devono fare tutti: gli addetti ai lavori – ovviamente – i partiti per primi, i parlamentari, i tanti che si dedicano quotidianamente alla attività politica. Ma anche ciascuno di noi cittadini, nelle cui mani c’è – in democrazia – il potere fondamentale che esercitiamo con l’uso del nostro diritto di voto.
Se ci si pensa un po’ su, la domanda cruciale è - a mio avviso - la seguente: “Quanto vuoi che duri questo governo?” C’è chi risponde “Vorrei che andasse via subito, prima possibile” e chi, invece osserva “Dipende da quel che fa; potrebbe anche andare avanti due o tre anni”. Ad ambedue queste risposte si può arrivare per via di rassegnazione o per via di speranza; o attraverso altre “complicazioni” che non modificano tuttavia di una virgola il fatto che le scelte politiche diverse scaturiscono dalla diversità di risposte - e perciò anche da diverse aspettative e auspici - sulla durata del governo in carica. Il governo Letta è ben diverso da quello Monti, nonostante la maggioranza sia formalmente la stessa; è nato dopo le elezioni, cioè dopo il tanto atteso “ritorno della politica”. E’ conseguenza della debolezza dei partiti e degli errori da loro commessi; ma sono stati i partiti a volerlo (o a doverlo volere, che è lo stesso) per evitare la catastrofe che avevano preparato con una condotta sconsiderata; politica è la sua origine (anche le debolezze e gli errori fanno parte della politica), politica la sua composizione, a cominciare da presidente e vicepresidente del consiglio.
La sua durata è quindi il terreno di verifica della capacità di reazione e di ripresa dei partiti. Per andare dove? Qui si propone un altro, inevitabile dilemma. In caso di successo (o di insuccesso) il merito (o la colpa) sarà attribuito:
a) ai partiti che, dopo una fase di coabitazione coatta, vogliono riattivare una competizione alternativa;
o
b) a quella che viene definita la “politica delle larghe intese”?
È una ulteriore ambiguità che si dovrà affrontare, una ulteriore scelta che non solo i partiti e gli addetti ai lavori dovranno fare, ma dovremo fare tutti (e ciascuno). L’opzione che dobbiamo maturare adesso sulla durata del governo Letta e il giudizio che saremo chiamati a dare sia nel caso di successo che di insuccesso di questo stesso governo, contengono – come si vede – un identico dilemma: il futuro del sistema italiano dovrà essere caratterizzato da competizioni alternative e aperte o da una “convergenza al centro” di alleanze in una certa misura variabili, ma non alternative? Non do la mia risposta; ma mi sento di affermare con sicurezza che questo è il dilemma decisivo della politica con cui gli italiani dovranno fare i conti.
tratto da "qdRmagazine.it"
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 15:37