Il rischio di collasso che a Letta non piace

Il rapporto Cei sul lavoro indica che nel nostro paese il numero dei disoccupati reali è almeno il doppio di quello, già altissimo, indicato dai dati ufficiai. Che solo l'Italia, a differenza del resto d'Europa, importa manodopera non qualificata ed esporta prestatori d'opera qualificati. E, soprattutto, che questa drammatica situazione è destinata ad andare avanti almeno fino al 2020. Il rapporto preparato da esperti, studiosi e ricercatori per la Conferenza Episcopale Italiana si limita a stilare questa amara diagnosi ed a pronosticare tempi lunghissimi per la gravissima malattia di cui soffre il paese. Non propone ricette per la sua soluzione . Probabilmente perché l'individuazione delle terapie capaci di far uscire dalla crisi la società italiana sarà oggetto di un altro rapporto.

O, forse, perché la Cei ha voluto offrire un contributo importante ed utile a chi, governo, Parlamento, forze sociali e classe dirigente in generale, ha il compito istituzionale di risolvere il problema. Quanto tempo bisognerà aspettare prima che la strada per la ripresa venga individuata e percorsa? I più realisti sostengono che bisognerà comunque attendere il risultato delle elezioni tedesche del prossimo autunno prima di poter sapere quale potrà essere l'indirizzo che il nostro paese potrà prendere per invertire la rotta che sembra condannarlo ad un declino irreversibile. Nel frattempo, aggiungono, non si può chiedere al governo di Enrico Letta, frutto di un compromesso difficilissimo tra forze naturalmente contrapposte, di andare oltre il tentativo di correggere la linea dell'eccesso di pressione fiscale che aveva caratterizzato il precedente governo, anch'esso dell'emergenza, di Mario Monti. La tesi dei realisti è sicuramente accettabile. Ma si scontra con un interrogativo fin troppo inquietante a cui bisognerà trovare in ogni caso una qualche risposta.

Fino a che punto il paese è in grado di reggere la situazione fotografata con tanta precisione dal rapporto della Cei ? La domanda non riguarda la possibilità di tenere fino al 2020, data in cui non si capisce come la fase della disoccupazione crescente, cioè della crisi, dovrebbe terminare. Perché è assolutamente certo che in queste condizioni il paese non potrà continuare a sopportare una disoccupazione reale del 20 per cento, una fuga di trecentomila cervelli l'anno e una economia in stato definitivamente comatoso. L'interrogativo, sempRe in nome del realismo, riguarda la tenuta a breve. Siamo proprio certi che il paese possa aspettare le elezioni autunnali tedesche e le eventuali innovazioni politiche che ne potrebbero scaturire senza subire collassi di sorta nella sua pace sociale? L'ex segretario della Cgil Sergio Cofferati ha sostenuto che il pericolo non esiste visto che il disagio sociale difficilmente sfocia nella violenza .

Ma l'affermazione dell'attuale europarlamentare del Pd, quello che portò in piazza tre milioni di persone a manifestare contro una indispensabile riforma delle pensioni, non tiene conto del rischio che a soffiare sulle tensioni sociali ci siano quelle forze politiche che non accettano il governo del compromesso e dell'emergenza e sperano di cavalcare le difficoltà di gran parte della società italiana per provocare una radicalizzazione della lotta capace di spazzare via le odiate larghe intese. Il Presidente del Consiglio Enrico Letta dovrebbe preoccuparsi di questo pericolo piuttosto che rincorrere i fantasmi inesistenti dei pericoli di rottura sui temi della giustizia. E, soprattutto, dovrebbe evitare di blandire chi punta mandare all'aria il precario equilibrio che lo ha mandato a Palazzo Chigi sostenendo di essere alla guida di un governo che non è di suo gradimento. Se il primo a non credere in se stesso e nel suo compito è lo stesso Presidente del Consiglio, il rischio di non arrivare a settembre diventa decisamente alto!

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 15:13