
Matteo Renzi è stato l'avversario sconfitto di Pier Luigi Bersani alle primarie del Partito Democratico raccogliendo però una fetta consistente del partito ed una grande popolarità capace di trasformarlo in un personaggio di livello nazionale. Renzi non ha di fatto partecipato alla campagna elettorale condotta in maniera decisamente maldestra da Bersani. Avrebbe potuto criticare, contestare, cercare di correggere la strategia dello smacchiamento del giaguaro. Invece ha preferito adottare la linea del “né sabotare, né collaborare”,+ù convinto che non fosse quello il momento più opportuno per uscire allo scoperto. All'indomani delle elezioni perdute avrebbe potuto far valere la sua caratteristica di uomo nuovo del Pd alternativo a Bersani ed all'intero vecchio gruppo dirigente colpevole di aver perso una battaglia che sembrava largamente vinta in partenza. Invece non ha assunto nessuna iniziativa per compiere in condizioni favorevoli ciò che aveva promesso durante la campagna delle primarie.
Cioè la rottamazione della casta dei maggiorenti. Ed ha preferito approfittare delle difficoltà incontrate da Bersani durante la tormentata fase dell'elezione del Presidente della Repubblica per prendersi la propria vendetta sul segretario contribuendo alla sua mesta uscita di scena. Ma anche in questa fase Renzi non è uscito in campo aperto sfidando il suo rivale e proponendo al Pd quel progetto di rinnovamento integrale che aveva fatto balenare nei mesi precedenti. Ha preferito stare ostentatamente defilato sempre nella convinzione che il suo momento dovesse ancora arrivare. Qualcuno ora pensa che il momento tanto atteso e sempre rinviato potrebbe essere quello dell'assemblea nazionale di sabato prossimo in cui i dirigenti del Pd saranno chiamati a decidere sul dopo-Bersani e scegliere tra un nuovo segretario o un reggente destinato a guidare il partito fino al congresso d'autunno. Invece pare che anche in questa occasione l'aspirante rottamatore resterà rigorosamente alla finestra ad assistere allo scontro tra quelli che vogliono un segretario subito e quelli che preferiscono il reggente a tempo rinviando a data da destinarsi l'avvio della sua partita per la conquista e la trasformazione del Partito Democratico.
Può essere che la tattica scelta da Renzi possa risultare nel tempo vincente. E che magari il sindaco di Firenze non voglia bruciarsi ora che il governo di larghe intese non può non condizionare in maniera decisa la linea del partito e preferisca aspettare l'autunno. Quando il congresso del Pd potrà anche decidere di porre fine all'esperimento anomalo rappresentato dall'esecutivo guidato da Enrico Letta. Di sicuro, però, questa tattica scelta dal sindaco di Firenze non è priva di danni. Il principale è la sensazione che si va diffondendo progressivamente, non solo all'interno del Pd ma anche in quella vasta area di moderati e di riformisti attratti dall'“uomo nuovo”, è che Renzi sia un personaggio tutta apparenza e niente sostanza che nasconde dietro le battute ed i propositi roboanti ed ambiziosi un sostanziale vuoto di idee e di progetti per il futuro. È probabile che per il sindaco di Firenze questo non sia affatto un danno. In fondo la politica italiana è piena di personaggi bravissimi a curare la propria immagine ma incapaci di contribuire in qualsiasi modo alla soluzione dei problemi del paese. Ma un leader che non voglia essere una meteora non può limitarsi ad aspettare il momento più utile a se stesso per uscire allo scoperto e giocare la propria partita per la conquista di un ruolo pubblico rilevante. Deve piegarsi alle esigenze del paese e mettere le proprie idee per la soluzione dei problemi quando questi problemi si pongono. Altrimenti si corre il rischio di apparire come uno privo di idee. Non un “uomo nuovo” ma come un semplice tronista della politica !
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 15:18