
La forza del governo Letta è rappresentata, sempre non volendo considerare l’incognita dei pazzi e degli effetti che le loro azioni potrebbero provocare, dalla sua grande debolezza. Tutti sono consapevoli che il governo potrebbe cadere da un momento all’altro per un qualche improvviso scarto della sinistra del Pd in vena di rivincita sui post-democristiani del partito, per un inaspettato mal di pancia dei falchi del Pdl decisi a ricuperare fette di potere rispetto a Silvio Berlusconi o per qualche furbesca manovra di Beppe Grillo pronto ad approfittare dei dissidenti interni della sinistra e del centro destra per mandare a fondo il nuovo esecutivo e riconquistare il centro della scena politica. Al tempo stesso, però, tutti sono altrettanto consapevoli che questa estrema debolezza è bilanciata dalla certezza che il fallimento del governo Letta porterebbe di filato alle elezioni anticipate (oltre che alla dimissioni di Giorgio Napolitano).
E questa certezza indica che fino a quando i partiti non saranno pronti a ritornare alle urne e ad eleggere un nuovo Capo dello Stato con l’attuale o con il nuovo Parlamento, il governo resterà in piedi e potrà svolgere, sia pure con grande accortezza, la sua funzione. I sondaggi dicono che l’unica forza politica in apparenza pronta ad andare subito alle urne sarebbe il Pdl. Ma i numeri non spiegano che il recupero del centro destra si è verificato prima delle elezioni di marzo con la campagna antitasse e dopo il voto con la linea della massima responsabilità scelta da Silvio Berlusconi. Provocare le elezioni anticipate significherebbe ribaltare la linea responsabile e dimostrare di non essere in grado di rispettare le promesse elettorali riducendo le tasse con il governo in carica. Ed è facile immaginare che il Cavaliere non intenda compiere un errore del genere puntando, semmai, sul sostegno al governo per sfruttare al massimo la crisi che la funzione stessa dell’esecutivo di Enrico Letta è destinata ad acuire all’interno della sinistra italiana.
Se, infatti, la funzione principale del nuovo governo è di chiudere la fase ventennale di contrapposizione viscerale tra centro destra e sinistra ed avviare una fase di reale pacificazione, è fin troppo facile pronosticare come questa funzione di pacificazione sia destinata a provocare la spaccatura definitiva dentro e fuori il Pd tra chi crede nella pacificazione e vuole essere sinistra riformista di governo e chi non vuole affatto la pacificazione e punta a tornare ad essere una grande sinistra d’opposizione capace di riassorbire la bolla grillina. Nesuno, dunque, al momento ha interesse ad approfittare della debolezza strutturale del governo appena nato. Tutti, semmai, hanno l’interesse opposto di fare in modo che l’esecutivo avvii la realizzazione della propria funzione per meglio sfruttarla , al momento opportuno, per i propri disegni particolari. Ognuno, in sostanza, attende l’ora in cui scatterà il momento della verità all’interno della sinistra italiana, quello della resa dei conti e della separazione definitiva tra l’anima decisa a superare la fase della guerra civile del secondo dopoguerra e l’anima intenzionata a perpetuarla all’infinito. Tutto è rinviato, dunque, al congresso del Pd del prossimo autunno. Fino ad allora il governo delle debolezze avrà la forza necessaria per andare avanti senza problemi.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 15:31