Ce lo aveva dichiarato due mesi fa, in un’intervista, Vittorio Sgarbi. Ed è stato buon profeta: «Non ci sono altre possibilità. Napolitano, in un modo o nell’altro deve restare». Molti oggi non comprendono perché la rielezione del vecchio apparatchik comunista venga salutata come una vittoria dal centrodx e dal suo popolo. In effetti, strictu sensu, non lo è. Napolitano è stato eletto presidente da una parte e presidente di parte è stato. La vittoria destra sta solo nel fatto che il nuovo parlamento, in larga maggioranza fanaticamente antiberlusconiano, non è stato in grado di eleggere il Presidente. Come aveva detto Sgarbi, non si è azzardato a farlo, votando contro ora Marini, ora Prodi, ora Rodotà. Che la rielezione del Giorgio sia cristallina in termini costituzionali, è molto dubbio.
L’ articolo 85 c.2 della massima Charta recita «30 giorni prima che scada il termine, il Presidente della Camera dei deputati convoca in seduta comune il Parlamento e i delegati regionali, per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica». Il Presidente deve essere dunque persona diversa dal precedente. Nella confusione dei suoi lavori, l'Assemblea Costituente non espresse il concetto più chiaramente solo per non scontentare il capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola, che era convinto di venir eletto Presidente. Nel dicembre ’46, II° sottocommissione, I° sezione, il relatore Tosato richiamò che «l'affermazione che non è rieleggibile potrebbe anche essere interpretata, per quanto indirettamente, in un senso poco favorevole per l'attuale Capo provvisorio dello Stato». I padri costituenti affidarono il mandato della non rieleggibilità agli stessi Capi dello Stato. Mandato tradito da Re Giorgio, ostile al momento elettorale, sia pure in modo più sottile di quanto fu il suo predecessore Scalfaro. Pur di vietare, come già nel 2011, un ritorno alle urne, Napolitano ha preferito, per salvare dall’impasse il suo partito, uscire del tutto dalla Costituzione. Un’uscita che costituisce un altro aspetto della vittoria destra.
Se il Papato, con le dimissioni, si è fatto umano, il Quirinale è divenuto eterno per la vita. Si attuerà ora anche la seconda previsione di Sgarbi: «Questo Parlamento può e deve soltanto rimettere mano alla legge elettorale. Non deve rifare un governo, prendere provvedimenti sulla crisi o altro»? La fiducia sulla buona riuscita del mandato affidato da Napolitano al sardopisano Enrico Letta ha precise motivazioni. Per il Pdl significa tornare al governo almeno con 5 membri da scegliere tra Alfano, Quagliariello, Brunetta, Romani, Schifani e Saccomanni; realizzare il punto dell’eliminazione dell’Imu ed infine allontanare da Milano per sempre i processi a Berlusconi, decisione su cui la Cassazione ha già deciso il rinvio al 6 maggio. Per Monti, al canto del cigno sull’esempio di un Dini, significa vestire i presigiosi panni degli Esteri e piazzare Mauro all'Istruzione. Sempre se il suo ex ministro Milanesi non gli soffi il posto. Ci saranno per forza le donne: Cancellieri agli Interni, Garfagna o Gelmini. Un pezzo del governo sarà dei tecnici - non più montiani - i saggi del Presidente come Amato, Giovannini dell’Istat che contende a Passera il MinSviluppo e Onida alla giustizia.
Caratteristica obbligata per questo esecutivo il cui presidente incaricato si è recato con la sua auto privata al Colle è l’essere di basso profilo, con pochi membri, una quindicina, umilmente sottomesso a Napolitano, ancor più di quanto non lo fu quello di Monti. Per il Pd, che vive la partecipazione al governissimo come una forma di peccato originale, non potrebbe essere che così. Sulla sua realizzazione si sono immolati gli antichi dei (Bersani, D’Alema, Rosibindi, Veltroni, Turco), defunti o feriti dale guerre interne. Ai giovani turchi il governo di sinistra con il programma di destra fa schifo. Letta junior è un redivivo Goria, non solo per essergli secondo nella giovane età da premier incaricato ma anche per l’insignificanza. Toscano mai preso in considerazione dal Pd regionale, tecnocrate mai sbocciato, già prodiano, già veltroniano, già franceschiniano, né Pcista, né Dc, ha un programma politico 50% Capezzone e 50% Riotta. La sua forza, come già per Rutelli, a parte lo zio nell’altra trincea, è l’avere un grande marito alle spalle, la giornalista Gianna Fregonara del Corrierone che con la Meli de La Stampa costituisce un gruppo influente nei media.
È il leader anonimo perfetto per il Pd del momento. La sua squadra, il giuslavorista Dell'Aringa al lavoro, il renziano leader Anci Delrio alla coesione, è all’altezza del momento, insignificante al punto giusto. Poi i media gli mettono in conto anche un Chiamparino, che, uomo Cgil e fassiniano non si capisce come abbia fatto a diventare renzianlettiano. Insomma le 4 colonne (tecnici vecchi, tecnici nuovi, Pdl e centristi Pd) gioiscono per l’esecutivo in dirittura d’arrivo. Anche Maroni, Meloni, Vendola e Grillo sorridono. Il loro ruolo di vecchi e nuovi oppositori al primo e secondo governissimo Napolitano sarà rispettato. Il Pdl, disarcionato dal governo, dovette sostenere un governissimo tassarolo con un programma opposto al suo: rischiò la scomparsa elettorale e la diaspora. Ora il Pd, disarcionato dalla vittoria elettorale, sosterrà un governissimo d’impronta destrobrunettiana come dimostrano le accuse a distanza tra il giovane Letta ed il ministro tedesco all’economia Schaeuble.
Non solo la coalizione di sinistra è all’aria; il Pd, da primo, è già terzo, superato da destra e grillini. Il 25 aprile davanti alle schiere dei figli, vecchi, dei partigiani e pseudotali, c’è chi vanneggia, scambiando gli eccidi per prova di fermezza ed unità e chi agita la scure sui segreti golpisti di stato. Sgarbi prevede che «Malgrado le opinioni correnti, Letta non ce la farà. Magari varerà il governo, ma non durerà. Con la vecchia o una nuova legge elettorale, comunque si andrà al voto.E Napolitano abdicherà del tutto» L’elicottero, famoso per papa Benedetto, sta già scaldando i motori. Potrebbero incrociarsi le strade di un nuovo Parlamento, dominato come nel 2008 da una maggioranza del centrodx, e dell’elezione del Presidente. Nel caso, l’esempio del Lord Protettore Napolitano e dei suoi governissimi consiglierebbe di puntare decisamente al ritorno della Monarchia.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 15:46