
Il 18 aprile è una data fatidica nella storia dell'Italia del secondo dopoguerra. Fino a ieri era il giorno della storica vittoria del 1948 del fronte moderato guidato dalla Democrazia Cristiana sul fronte popolare diretto dal Partito Comunista Italiano, il giorno della vittoria di Alcide De Gasperi su Palmiro Togliatti, della Chiesa di Pio XII sul “pericolo rosso “di staliniana osservanza. Da adesso in poi, invece diventa il giorno non solo dela mancata elezione di Franco Marini al Quirinale, ma soprattutto il giorno della clamorosa implosione del partito Democratico. Può essere che nel prossimo futuro Pier Luigi Bersani riesca a rincollare la maggior parte dei cocci in cui si è frantumato il suo partito.
Ma è fin troppo evidente che la rincollatura non riuscirà mai a riportare la compattezza e l'integrità del partito originario. Le spaccature saranno pure state meno numerose e profonde di quelle che si sarebbero potute provocare con la candidatura di nomi diversi da quello di Franco Marini. Ma sono state comunque talmente marcate da mettere comunque in evidenza che il soggetto politico che si era delineato durante gli anni '70 all'insegna della fermezza delle forze dell'arco costituzionale contro il terrorismo e che si era materialmente formato all'atto della fusione tra Ds e Margherita, tra post-comunisti e post-democristiani di sinistra, ha esaurito la sua corsa ed è giunto di fatto al capolinea. A frantumarlo, paradossalmente, non è stata la verifica che le differenze tra cattolici ed ex marxisti non sono state affatto superate ma tornato ad emergere nei momenti di tensione e di difficoltà. È stato l'effetto devastante della diversità antropologica tra il mondo della sinistra tradizionale e quello della cosiddetta nuova sinistra, tra chi ha alle spalle tradizioni politiche che si rifanno all'esperienza di governo della Dc ed alla via italiana al socialismo di Berlinguer e chi, invece, non vuole avere le radici di quel tipo e tende a rifarsi al modello di successo del momento rappresentato dal cosiddetto “fenomeno Grillo”, cioè al fenomeno che incanala i pregiudizi ancestrali del popolo della sinistra e le tensioni provocate dalle difficoltà della crisi economica nell'intolleranza moralistica contro gli avversari di turno.
Questa differenza antropologica inconciliabile è apparsa con tutta evidenza nell'attacco alla candidatura di Franco Marini lanciata dagli schermi televisivi da Matteo Renzi. Fino a quel momento il sindaco di Firenze veniva considerato un antagonista naturale di Beppe Grillo e del grillismo, l'unico in grado di rinnovare il Pd e metterlo di condizione di fronteggiare senza sudditanze di sorta il comico genovese. Invece , nell'attaccare non sul terreno politico ma su quello strettamente personale Marini, Renzi si è calato totalmente nei panni di Grillo, lo ha imitato in tutto e per tutto ed ha dimostrato in maniera inaspettata e clamorosa che il problema del Pd non è lo scontro personale tra il sindaco di Firenze e Pier Luigi Bersani ma tra le due sinistre inconciliabili ed alternative presenti nel panorama politico nazionale. Non è un caso che sulla scia di Renzi si siano posti anche Niki Vendola ed i cosiddetti “giovani turchi”, tanto diversi apparentemente dallo sfidante interno di Bersani ma in tutto simili a lui nell'imitare il modello dell'indignazione intollerante e moralistica rappresentato da Beppe Grillo. L'esistenza delle due sinistre è venuta allo scoperto ed ha provocato un nuovo e più moderno 18 aprile. Con gli stessi vinti e vincitori di allora.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:52