
Nessuno dubitava che il lavoro dei Saggi incaricato dal Presidente della Repubblica di stilare un programma minimo per il futuro governo fosse assolutamente inutile. Può aver stupito che a dirlo sia stato uno dei Saggi in questione, il costituzionalista Valerio Onida, con una ingenuità più da "Alice nel paese delle meraviglie" che ex giurista ormai da tempo impegnato in politica in funzione di fiancheggiatore della sinistra di osservanza post-dossettiana. Ma si è trattato di uno stupore illuminante. Perché l'ammissione di Onida che i Saggi servono solo a far passare il tempo che manca all'elezione del nuovo Capo dello Stato rende più facile comprendere il reale significato della decisione di Giorgio Napolitano. Quest'ultimo , rispondendo a Matteo Renzi, ha negato che in questo modo si stia perdendo tempo. E dal suo punto di vista non ha pronunciato una affermazione scorretta. Il suo proposito, infatti, non è di perdere tempo ma da prendere tempo. Quello necessario a far insediare al Quirinale il nuovo Presidente della Repubblica, chiudere il semestre bianco e consentire al proprio successore di favorire la nascita di un governo attraverso la minaccia di mandare a casa il Parlamento appena eletto e di andare immediatamente alle elezioni anticipate. Napolitano, in sostanza, si è convinto che il blocco provocato dalla incomunicabilità ed indisponibilità alla collaborazione tra i tre blocchi rappresentati da Pd, Pdl e Movimento Cinque Stelle può essere rimosso solo con la pistola puntata di un ricorso alle urne entro giugno o luglio. È vero che i partiti a parole dicono di non temere una prospettiva del genere. Che Grillo la richiede, Bersani finge di volerla e Berlusconi la persegue apertamente. Ma è altrettanto vero che sotto le dichiarazioni ufficiali ognuno di loro ha ragionevoli motivi per non gioire di fronte ad una prospettiva del genere. Grillo sa bene che la fortuna è girevole e che il voto anticipato potrebbe smentire tutte le speranze di arrivare al cinquanta per cento e provocare il drastico ridimensionamento della consistenza parlamentare del Movimento Cinque Stelle. Bersani è perfettamente consapevole che il suo competitore interno Matteo Renzi non potrebbe subire per la seconda volta l'ostracismo del notabilato del Pd e potrebbe arrivare anche a provocare la scissione del partito per non perdere il giro nella candidatura a Premier. E Berlusconi, che pure sarebbe il più favorito in caso di nuove elezioni, si troverebbe a correre nella campagna elettorale con la preoccupazione costante di sfuggire ad un fuoco di fila di bordate giudiziarie dirette a metterlo fuori gioco. Non è peregrino, allora, il calcolo di Napolitano. Che è quello di prendere tempo con l'inutile lavoro dei Saggi e mettere in condizione il proprio successore (o se stesso ) di rimuovere le resistenze all'accordo tra Pd e Pdl (i grillini sono fuorigioco per loro scelta dichiarata) con l'arma dello scioglimento di un Parlamento appena nata ed in cui le resistenze al voto sono nascoste ma largamente diffuse. Se l'obbiettivo del Quirinale è questo, va però messo in conto che il futuro governo, sempre che possa effettivamente nascere, non potrà venire alla luce prima della fine di aprile, probabilmente a maggio. E che difficilmente potrà avere l'aspetto di una larga e solida coalizione ma, molto più facilmente, potrà essere al massimo un esecutivo di scopo, con una maggioranza precaria fondata sulla non sfiducia piuttosto che sul sostegno aperto del centro destra. Insomma, un governicchio dalla vita travagliata e destinato a durare il tempo necessario per una nuova legge elettorale e qualche misura tampone sul fronte della crisi economica. Questo passa il convento. E bisogna accontentarsi. Con la speranza, però, che nel frattempo tutti quelli che irridevano alla democrazia dell'alternanza, che la sera dei risultati elettorali indica il vincitore ed il governo, vengano zittiti una volta per tutte!
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 15:35