Napolitano e Bersani, la resa dei conti

L'obbiettivo di Giorgio Napolitano è la coesione nazionale tra le forze politiche che continuano a credere nella democrazia rappresentativa. Lo ha predicato fin dall'indomani del risultato elettorale, lo ha sollecitato durante le consultazioni chiedendo al pre-incaricato Pier Luigi Bersani di porla come obbiettivo primario e la continua a perseguire attraverso i due comitati di saggi che dovrebbero concordare un programma su cui far convergere i partiti della democrazia rappresentativa e favorire la nascita di un nuovo governo. Il lessico bizantino della politica tradizionale distingue tra coesione nazionale, larghe intese e governissimo. Ma nella sostanza tutti comprendono che i termini sono diversi ma la sostanza è la stessa. Napolitano chiede alle forze della democrazia rappresentativa (solo ad esse e non a quella che predica l'avvento della democrazia diretta per via internet) di trovare comunque un accordo in nome dell'emergenza economica e sociale. Non per eliminare le proprie diversità ma per dare vita ad un esecutivo che affronti i problemi del momento, realizzi le riforme più urgenti e porti il paese in condizioni di stabilità ad una nuova verifica elettorale ad ottobre o nella primavera del prossimo anno.

Questa strategia del Presidente della Repubblica va nella direzione esattamente opposta alla linea scelta dal Partito Democratico all'indomani delle elezioni. Nella convinzione che l'accordo con le forze della democrazia rappresentativa renderebbe l'elettorato del Pd facile preda del partito che invoca la democrazia diretta, il segretario Bersani ed il suo gruppo dirigente ha respinto la proposta della coesione nazionale. Ed ha ha tentato di convincere il Movimento Cinque Stelle che il cambiamento passa attraverso il sostegno dei fautori della democrazia diretta, non prevista dalla Costituzione nata dalla Resistenza, al governo del partito che della difesa della Costituzione e della democrazia rappresentativa ha fatto il suo principale cavallo di battaglia nell'intero secondo dopoguerra. In questa luce non stupisce affatto che la strategia del Capo dello Stato sia radicalmente alternativa a quella del segretario del Pd. Napolitano non fa altro che seguire la strada della tradizionale sinistra comunista e post-comunista. Bersani rompe con quella tradizione perché convinto che parte del proprio elettorato sia sensibile alla suggestione della rivoluzione per l'abbattimento del vecchio sistema e la nascita della democrazia partecipativa via internet. La partita in corso, dunque, si svolge tutta all'interno del perimetro politico e culturale della sinistra post-marxista.

Personalizzando, si può dire che lo scontro è tra Napolitano e Bersani. Uscendo dal facile schematismo si può invece rilevare che lo scontro è tra chi nel Pd crede che la democrazia rappresentativa vada rinnovata ma non sostituita e chi è convinto che per non farsi svuotare dal nemico a sinistra il Pd debba cavalcare il tema della rivoluzione per la democrazia diretta. Ci vuole grande rispetto per questo travaglio interno del Partito democratico. Ma questo rispetto non può far dimenticare che mentre i post-comunisti discutono tra di loro (rigorosamente tra di loro) il paese rischia di affondare. E, soprattutto, che la maggioranza degli italiani non sembra affatto disposta a rinunciare al modello di democrazia rappresentativa frutto della storia del mondo Occidentale per rincorrere un modello di democrazia diretta ispirato non tanto al giacobinismo totalitario della Rivoluzione francese quanto all'anarchismo sanguinoso delle primavere arabe. Sarà il caso che questa maggioranza di italiani incominci a farsi sentire.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 15:47