
Il guaio non è che il Presidente della Repubblica sia stato costretto a dare l'incarico di formare il governo a Pier Luigi Bersani, sia pure con la condizione dei numeri certi di maggioranza. E che lo abbia fatto non perché convinto che il segretario del Pd possa farcela ma solo perché deciso a non chiudere il proprio settennato con un atto di aperta rottura nei confronti del suo partito di provenienza. Il guaio non è neppure che l'incarico a Bersani è come l'occupazione della prefettura di Milano da parte dei partigiani di Pajetta nel primissimo dopoguerra e che nel Pd non c'è nessun Togliatti in grado di dire «e adesso che ci fai» e riportare tutti con i piedi per terra.
Ed a ben guardare neppure il fatto che in questo modo si allunga il tempo della crisi di governo, si consente al governo dei tecnici in carica di continuare ad inanellare errori dilettanteschi (vedi caso marò), si posticipano decisioni indispensabili per fronteggiare la crisi e si accumula discredito internazionale. Il guaio vero è che l'incarico a Bersani , che serve solo a prendere tempo per preparare al meglio la partita vera che si giocherà il 15 aprile, quella per il Quirinale, apre la stura ad una gigantesca operazione illusionistica, simile alle tante realizzate in passato dalla abile propaganda post-comunista, tesa a dimostrare al paese che con un eventuale governo targato Pd il momento della grande svolta verso un futuro roseo e progressivo è arrivato. L'illusione avrebbe una funzione almeno rassicurante se nel frattempo le condizioni del paese rimanessero immutate. Purtroppo, invece, la realtà è diversa. E l'illusione serve soltanto a nascondere ed aggravare non solo le difficoltà crescenti della società reale ma anche a portare all'estremo la crisi delle forze politiche tradizionali ormai irrimediabilmente incapaci di rinnovarsi.
La grande illusione è che un governo di minoranza, privo dei voti necessari alla propria sopravvivenza, possa nel giro di qualche mese realizzare la riforma elettorale, compiere la riforma istituzionale (fine del bicameralismo, dimezzamento dei parlamentari, riduzione dei costi della politica, ecc.) e , contemporaneamente, varare tutti i provvedimenti necessari per far uscire il paese dalla recessione economica e dalla disperazione sociale. Il grande cambiamento, dunque, che non è riuscito all'epoca della democrazia bloccata e del regime democristiano, che è fallito durante il compromesso storico, che è sfumato negli anni '80 e che nella Seconda Repubblica non è stato concretizzato né dalle larghe maggioranze del centrodestra, né da quelle del centrosinistra, dovrebbe scaturire dall'azione di un esecutivo che non sa dove trovare i voti necessari per il primo voto di fiducia e come programma d'azione ha quello di varare provvedimenti squilibrati per cercare di volta in volta i consensi che gli mancano per sopravvivere.
Bersani è forse provvisto di qualche capacità miracolistica nascosta? Ha fatto un qualche patto con il diavolo o ha scoperto qualche formula di magia bianca per realizzare quella che sulla carta si presenta come una missione disperata ed impossibile? La risposta è ovviamente negativa. Ma nel corso di una trasmissione televisiva un autorevole parlamentare del Pd ha spiegato che in fondo l'unica difficoltà è rappresentata dal primo voto di fiducia. Che può essere conseguito anche con qualche accorta uscita dall'aula di forze politiche compiacenti. Da quel momento in poi, ha assicurato l'esponente Pd svelando la base dell'illusione, il governo Bersani non chiederà mai più la fiducia. Presenterà solo i provvedimenti su cui è certo di poter raccogliere la maggioranza. Ed andrà avanti all'infinito. Ovviamente verso la dissoluzione sua e del paese.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 15:12