
Nessuno può prevedere quale sarà la reazione di Giorgio Napolitano di fronte alla richiesta di Pierluigi Bersani di avere il via libera alla formazione di un governo di minoranza zeppo di specchietti per i grillini e destinato a cercare di giorno in giorno l'aiuto di qualche dissidente del M5S per poter sopravvivere. Può essere che il Presidente della Repubblica respinga la pretesa di governare senza maggioranza del segretario del Pd. Ma può anche essere che il Capo dello Stato si convinca che non esiste altra alternativa a quella proposta da Bersani e, seppure a malincuore, accetti di autorizzare il leader della sinistra a mettere in piedi l'esecutivo più anomalo dell'intera storia repubblicana.
Questo interrogativo rappresenta la dimostrazione inequivocabile di come la XVII Legislatura sia partita nel peggiore dei modi possibile. Ma non perché non esista la possibilità di costruire un governo forte di una solida maggioranza e capace di affrontare la crisi senza cadere al primo alito di vento e si arrivi addirittura a prendere in considerazione l'ipotesi del governo di minoranza che , per definizione, è evaporabile come neve al sole. Ma perché se in una democrazia parlamentare si incomincia a considerare normale , ed anzi addirittura auspicabile e positivo, che una minoranza possa guidare il paese a dispetto dei numeri presenti in Parlamento, numeri che rappresentano la volontà popolare, vuol dire che quella democrazia è ormai in coma e rischia di esalare l'ultimo respiro da un momento all'altro. Nello sciogliere il nodo delle consultazioni è bene che Napolitano tenga ben presente questa considerazione. Perché la sua non sarà una scelta in favore e contro Bersani ma assumerà inevitabilmente il significato o di dare una boccata d'ossigeno alla democrazia parlamentare boccheggiante o di diventare il colpo di grazie ed il certificato di morte del sistema voluto dalla Costituzione. Per la verità chi propone come soluzione ineluttabile quella del governo di minoranza sostiene che proprio la scelta di un esecutivo obbligato a cercare ogni giorno i voti per il proprio sostentamento ripropone ed esalta la cosiddetta centralità del Parlamento.
Al punto da realizzare l'obbiettivo di quel “parlamento governante” che viene proposto da Grillo come l'unica alternativa al governo dei partiti. Ma Napolitano è troppo esperto per non riconoscere ciò che si nasconde dietro la teoria del parlamento governante e la pratica del governo di minoranza destinati, entrambi, a cacciare dal tempio della democrazia i partiti corrotti e corruttori. Barbara Spinelli sostiene che in questo modo si torna all'agorà di Atene. Salvatore Settis sostiene che per questa strada si segue l'esempio delle “actiones populares “ della Roma repubblicana. Ma per uno come Napolitano che è passato attraverso le esperienze del secolo breve è fin troppo facile capire che dietro tutte queste teorie più o meno suggestive si nasconde il tradizionale antiparlamentarismo delle minoranza attive, di destra o di sinistra che siano, che è sempre sfociato in passato verso sbocchi di stampo autoritario. Alle spalle dell'antiparlamentarismo, infatti, c'è sempre e comunque il pensiero aristocratico di chi crede che solo le minoranze illuminate siano in grado di guidare il “popolo bue”. Un pensiero che oggi si nasconde dietro le teorie della democrazia partecipativa che nasce dal basso ma che nella realtà, anche e soprattutto in quella della rete, ripropone sempre il solito schema dei piccoli nuclei di portatore di verità destinati a trascinare le masse amorfe e ignoranti. Bersani, ossessionato dalla pretesa di andare a Palazzo Chigi per scongiurare il pericolo interno rappresentato da Renzi, non capisce il pericolo. Napolitano non dovrebbe ignorarlo. E comportarsi di conseguenza.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:51