A qualcuno dalle parti del Pd, in certe redazioni e in certe procure, sarà andata di traverso la cena. Le più ampie «valutazioni» preannunciate dal presidente Napolitano al termine del suo incontro con il segretario e i capigruppo del Pdl sono andate al di là di quanto ci si potesse attendere, per la severità dei moniti non solo nei confronti del partito di Berlusconi ma anche della magistratura e del Pd. Il capo dello Stato non si è limitato al solito richiamo al comune e generale senso di responsabilità affinché non si alimenti ulteriormente il conflitto tra politica e giustizia. Né si è limitato a riaffermare da una parte l'autonomia e l'indipendenza della magistratura, dall'altra la libertà di espressione di ogni dissenso. Oltre al «rammarico» per la «manifestazione politica senza precedenti all'interno del palazzo di giustizia di Milano», ha ammonito che «il più severo controllo di legalità è un imperativo assoluto per la salute della Repubblica da cui nessuno può considerarsi esonerato in virtù dell'investitura popolare ricevuta».
Ma «con eguale fermezza» ha esortato i magistrati a dimostrare «grande attenzione», nelle prossime settimane, in modo da evitare «interferenze tra vicende processuali e vicende politiche», e ha sollecitato «il rispetto di rigorose norme di comportamento da parte di quanti sono chiamati a indagare e giudicare, guardandosi dall'attribuirsi missioni improprie e osservando scrupolosamente i principi del giusto processo sanciti fin dal 1999 nell'art. 111 della Costituzione con particolare attenzione per le garanzie da riconoscere alla difesa». Fin qui, dunque, richiami molto espliciti indirizzati a Berlusconi e ai magistrati sui rispettivi ruoli e responsabilità. Ma nelle sue valutazioni Napolitano si è spinto fino al cuore dell'impasse politico di questo momento. Giudicando «comprensibile la preoccupazione dello schieramento che è risultato secondo, a breve distanza dal primo, nelle elezioni del 24 febbraio, di veder garantito che il suo leader possa partecipare adeguatamente alla complessa fase politico-istituzionale già in pieno svolgimento, che si proietterà fino alla seconda metà del prossimo mese di aprile», Napolitano sta dicendo chiaro e tondo che a Berlusconi dev'essere «garantita» la possibilità di «partecipare adeguatamente» sia alla fase delle consultazioni per la formazione del nuovo governo che al processo di elezione del nuovo presidente della Repubblica. Alla luce dell'esito incerto del voto, ma «soprattutto per l'estrema importanza e delicatezza degli adempimenti istituzionali che stanno venendo a scadenza, occorre evitare tensioni destabilizzanti per il nostro sistema democratico».
Ai magistrati, dunque, quasi un invito a soprassedere dal disporre misure eclatanti (condanne o richieste d'arresto) nei confronti di Berlusconi, o a rinviarle, e al Pd un messaggio: non pensi di escludere a priori qualsiasi dialogo con il Pdl in vista di «adempimenti» che «chiamano in causa ed esigono il contributo di tutte le forze politiche rappresentate in Parlamento, e in particolar modo di quelle che hanno ottenuto i maggiori consensi». E se per Napolitano «non è da prendersi nemmeno in considerazione l'aberrante ipotesi di manovre tendenti a mettere fuori giuoco – “per via giudiziaria”, come con inammissibile sospetto si tende ad affermare – uno dei protagonisti del confronto democratico e parlamentare nazionale», il solo avervi accennato come ipotesi «aberrante» suona anche come monito nei confronti di coloro i cui comportamenti potrebbero avvalorare questo «inammissibile sospetto». A giudicare dalle parole del coordinatore della segreteria Pd Migliavacca, secondo cui il partito sarebbe pronto a votare a favore di una eventuale richiesta di arresto di Berlusconi, il Pd sarebbe esattamente agli antipodi rispetto alle raccomandazioni di Napolitano.
Al di là del merito, è evidente infatti che si tratta proprio del tipo di dichiarazioni incendiarie che alimentano le «tensioni destabilizzanti» che il presidente aveva pregato di evitare e che presuppongono la volontà di escludere dai prossimi «adempimenti istituzionali» una delle forze politiche che ha ottenuto i maggiori consensi. Preannunciare il sì del Pd all'arresto di Berlusconi, magari nell'illusione di compiacere Grillo, è doppiamente irresponsabile, dal momento che si tende a dare ormai per scontata una richiesta che ancora non c'è, dando quasi l'impressione di invocarla. E che il sì all'arresto – senza nemmeno aver visto le carte e non essendo stata neppure ancora inviata alcuna richiesta in tal senso – sia l'unico punto di accordo finora tra Pd e Grillo, non fa che rendere ammissibile quel sospetto che Napolitano vorrebbe resti «inammissibile», cioè «l'aberrante ipotesi» dell'eliminazione per via giudiziaria di Berlusconi.
Finora nel Pd restano tutti coperti e allineati dietro Bersani, la cui linea (prendersi il Quirinale grazie ad un premio di maggioranza che ha trasformato il 29% dei voti nel 55% dei seggi della Camera ed entrare a Palazzo Chigi senza maggioranza o tornare subito al voto) se fosse stata solo immaginata da Berlusconi si sarebbe già gridato al golpe e avremmo stampa, tv e piazze “democratiche” mobilitate. Ma probabilmente per conoscere le reali intenzioni del partito bisognerà aspettare che Bersani vada a sbattere: o contro il M5S in Senato, o contro il Quirinale. Potremmo allora scoprire che in questa fase di falso “unanimismo” nel Pd, Napolitano è di fatto il vero leader dell'opposizione interna a Bersani; che piuttosto che sfidare apertamente la linea avventurista del segretario, spaccando il partito, molti esponenti preferiscono lasciare al presidente l'onere, politicamente scomodo, di far uscire allo scoperto, quindi di tentare, l'unico “piano B” disponibile per uscire dal vicolo cieco in cui il Pd ha cacciato se stesso e il paese: coinvolgere Berlusconi e il Pdl negli «adempimenti istituzionali che stanno venendo a scadenza».
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 15:44