Zingales: il boomerang del moralismo

Il professor Luigi Zingales, membro fondatore del partito Fare, esce in dissenso con il suo leader Oscar Giannino. Il leader, a detta sua, ha mentito. E dunque non è più moralmente possibile militare al suo fianco. Nella finta locandina di Djannino Unchained (in stile Tarantino), c’era anche Zingales, alle spalle di Giannino. Adesso lo rimuoveranno? E come si fa, a meno di una settimana dalle elezioni? In attesa di vedere quale sarà l’impatto di questo strappo fuori-tempo-massimo, domandiamoci, prima di tutto: ma di che menzogne stiamo parlando? Oscar Giannino, stando a quanto dice il professore di economia Zingales, avrebbe millantato un curriculum accademico falso. «Ha mentito in televisione sulle sue credenziali accademiche – dice Zingales - dichiarando di avere un Master alla mia università (la University of Chicago Booth School of Business, ndr) anche se non era vero. Anche la sua biografia presso l’Istituto Bruno Leoni, ora prontamente rimossa, riportava credenziali accademiche molto specifiche e, a quanto mi risulta, false».

Detto questo, il professore non ha più tollerato la compagnia del giornalista. La menzogna sul curriculum è un atto grave, «soprattutto per un partito che predica la meritocrazia, la trasparenza, e l’onestà». Pronta la risposta di Giannino: «Mai preso un master a Chicago Booth. Mi hanno detto che in rete c'è una cosa che gira su un mio presunto master alla Chicago Booth. Vorrei chiarire che su questo c’è un equivoco. Io non ho preso master alla Chicago Booth. Sono andato a Chicago a studiare l'inglese. Bastava chiederlo, e avrei risposto. Lo chiarisco perché in rete c’è una cosa che monta. Luigi Zingales insegna alla Chicago Booth, mi è capitato di parlarci, ed è uno dei nostri fondatori. Insegna lì. Io sono stato a Chicago da giovane, a studiare, e non ho preso master alla Chicago Booth». Questa lite surreale ha almeno tre chiavi di lettura. La prima è partitica, la seconda è personale e la terza è politica. Non va trascurato l’aspetto personale. In questa polemica è rispuntata la tradizionale guerra fra il giornalista e il professore. Il primo deve sempre far vedere di sapere tutto e dunque millanta conoscenze. Il secondo, frustrato dalla maggior visibilità del giornalista, coglie ogni occasione per mostrargli quanto è ignorante.

È una lotta antica come le due professioni in questione. Giannino e Zingales non inventano nulla di nuovo. Di fronte a questi “sboroni” che fanno strada, gonfiandosi oltre ogni limite, il professore dalla penna rossa è sempre pronto a ricordare loro: “ricordati che hai preso solo 18 quando eri mio allievo”, ad ogni occasione possibile. O a metterli in difficoltà con la domandina giusta al momento sbagliato. Giannino ha fornito a Zingales l’opportunità di far valere la sua supremazia professorale, di prendersi una rivincita di fronte al grande pubblico. Certo, e lo ripeto, proprio nel momento peggiore. E nel modo più plateale. C’è dunque il sospetto di una manovra partitica: Luigi Zingales ha una “doppia cittadinanza”, in Fare e nel Pd. Non è candidato con il primo e non è membro del secondo, ma è stato sia cofondatore del movimento Fermare il Declino (embrione di Fare), sia consulente della scuderia di Matteo Renzi, durante le primarie del Pd. Vai a fidarti di chi ha la doppia cittadinanza partitica… Questa sua uscita improvvisa, che giunge proprio a una settimana dalle elezioni, sembrerebbe proprio una manovra telecomandata dal Pd.

È solo un sospetto, d’accordo. Ma è rafforzato da circostanze alquanto particolari: la scelta del momento è strategica, ad appena una settimana dal voto, con un elettorato ancora fortemente indeciso. Come ha fatto, Zingales, a non accorgersi del curriculum di Giannino in tutti questi mesi? Lo strappo avviene proprio in un periodo in cui Fare era dato in ascesa ed era abbastanza chiaro che rubasse più voti alla sinistra che non alla destra. Infine, ma non da ultimo, coincide temporalmente con il primo attacco di Monti (futuro, inevitabile, partner della sinistra) a Giannino. Non si tratta, ovviamente, della prima polemica. Nei comitati locali ci si scanna da mesi. Le rotture, a tutti i livelli, si consumano in continuazione. Ma è la prima volta, di sicuro, che una di queste polemiche coinvolge direttamente il leader del partito e diventa pubblica. Proprio nel momento più critico. Ma tutto sommato, però, a chi interessa un curriculum che non corrisponde a quello vero? In politica siamo abituati a vedere di molto peggio. Giannino, tutto sommato, è uno dei migliori esperti di economia nel panorama giornalistico e politico italiano. Che differenza fa, da un punto di vista dell’elettore, l’assenza di questo o quel titolo accademico? E qui entra il terzo aspetto, che è quello politico ed è il più importante. Fare ha due anime.

Una è liberista e mira a raddrizzare le storture della politica attraverso la riduzione del peso dello stato: meno tasse, meno spesa pubblica e meno regole. L’altra, però, è un’anima progressista: il partito degli onesti, dei nuovi, che lotta contro il conflitto di interessi, promette lotta dura alla corruzione, predica la meritocrazia pura e l’emancipazione delle donne con le quote rosa. Nel corso della breve campagna elettorale, l’anima progressista ha finito (come sempre, in Italia) per divorare quasi del tutto quella liberista. La risposta liberista al conflitto di interessi è: “meno stato, minore sarà il danno”. La risposta che Fare ha dato, in televisione, è “meno Berlusconi e meno politici alla Berlusconi”. Il moralismo anti-berlusconiano e la lotta contro tutti i vizi italici di quest’ultimo decennio politico è diventato un leitmotiv del movimento che, inizialmente, si riprometteva di combattere solo sul terreno serio dei programmi economici. Iniziative liberiste, come “Contante Libero” (contro l’imposizione della più tracciabile carta di credito), sono state snobbate da Fare: perché c’è chi, in quel partito, vuole e predica la lotta all’evasione più che al fisco rapace. Chi di moralismo ferisce, di moralismo perisce. È bastata una piccolissima buccia di banana, quale quella di un Master che non c’è, per rovinare l’immagine di un partito, alla vigilia delle elezioni.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 15:42