
Sulla carta il disegno di Andrea Riccardi, cioè dell'ispiratore e del cervello politico della lista guidata da Mario Monti, è perfetto in tutti i suoi dettagli. Al punto di aver convinto anche un personaggio esperto e smaliziato come Giuliano Ferrara. Questo disegno poggia sulla previsione, assolutamente condivisa da tutti gli osservatori politici, che Pier Luigi Bersani non riesca a vincere alla Camera ed al Senato e che l'alleanza tra il Pd ed i centro montiano non sia in grado di assicurare un governo stabile al paese visti i sondaggi che dimostrano come i centristi non riescano ad andare oltre il 12-15 per cento . Il punto di partenza di Riccardi, dunque, è la previsione della ingovernabilità e la convinzione che l'unico modo per non seguire l'esempio della Grecia e tornare a votare dopo qualche mese sia quello di dare vita ad un governo di ampie intese formato dal centro di Monti, dal Pd di Bersani e da quella parte del Pdl che di fronte alla prospettiva di rientrare nell'area di governo potrebbe essere tentata di dare il benservito a Berlusconi costringendolo ad uscire definitivamente di scena.
A dispetto dell'apparente perfezione del progetto di Riccardi, il piano ha alcuni difetti su cui i suoi sostenitori non riflettono con la dovuta attenzione e che rischiano di renderlo del tutto inapplicabile. Il primo consiste nella sottovalutazione della capacità di resistenza del Cavaliere. È vero che il personaggio ha 78 anni e che potrebbe aver esaurito la sua carica vitale nell'ultima cavalcata elettorale. Ma è altrettanto vero che gli strateghi del neo-centrismo hanno puntato per anni (soprattutto sugli ultimi due ) sull'inevitabilità del tramonto di Berlusconi e sulla spaccatura del Pdl e si sono puntualmente rotti le corna sulla coriacea corazza del loro nemico. È difficile, dunque, ipotizzare che dopo il voto si possa verificare nel centrodestra ciò che non è avvenuto negli anni scorsi. Tanto più che le liste del Pdl sono state accortamente depennate dei possibili transfughi (da Pisanu a Frattini). E che il Cavaliere è talmente consapevole del disegno centrista delle larghe intese da essere pronto a lanciare lui stesso la proposta per non lasciarsi scavalcare da nessuno.
Il secondo difetto è che il taglio delle ali estreme degli attuali schieramenti di Berlusconi e Bersani difficilmente potrebbe avvenire senza prevedere non solo un trauma a destra, con il ritorno all'opposizione della Lega e di Fratelli d'Italia, ma anche un trauma a sinistra. Chi pensa che la Cgil, la sinistra bersaniana e il Sel di Vendola possano accettare di buon grado quella che considerano una grande ammucchiata, ha fatto male i suoi calcoli. Una grande coalizione potrebbe anche nascere ma sarebbe comunque destinata alla paralisi più totale a causa della indisponibilità alle riforme di queste componenti della sinistra.
Il difetto maggiore del disegno neo-centrista di Riccardi, però, è che bada solo alle geometrie politiche astratte e non tiene in alcun conto del dato reale del disagio sociale che cresce in maniera esponenziale. È strano che il promotore della Comunità di Sant'Egidio, cioè di chi ha passato una vita a contatto con la società reale, non prenda nella giusta considerazione questo fattore. Ma tant'è. Può essere che aver assunto il ruolo di stratega politico gli abbia fatto perdere di vista i problemi e gli umori concreti non solo dei poveri e dei diseredati ma della maggioranza dei cittadini italiani. Qualunque sia la ragione della sottovalutazione di Riccardi, però, è un fatto che finita l'orgia delle promesse elettorati le difficoltà crescenti della gente normale rispunteranno fuori con la massima energia. E l'idea di dare loro una risposta ricorrendo alla formuletta della grande coalizione dei veti incrociati sembra fatta apposta per preparare un ritorno alle elezioni nella primavera del prossimo anno e per fare un clamoroso favore agli indignati di Beppe Grillo ed agli squadristi giustizialisti di Antonio Ingroia.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:52