Riforma giustizia: ci voleva Ingroia

Non è affatto un guaio che i magistrati politicizzati entrino in politica. Anzi, è un bene. Perché, pur essendo una anomalia fin troppo evidente (ma frutto della più grande anomalia rappresentata dallo squilibrio costituzionale tra i poteri dello stato), rappresenta un elemento di positiva chiarezza agli occhi dell’opinione pubblica nazionale. La conferma viene dal caso Ingroia. Che con il suo fin troppo previsto passaggio di campo dalla magistratura inquirente alla politica militante ha reso evidente l’anomalia di cui sopra anche a molti di quelli che per più di vent’anni l’avevano testardamente negata bollandola come una accusa strumentale dei garantisti fasulli e pelosi.

Ma il chiarimento provocato dalla vicenda Ingroia non riguarda solo la dimostrazione lampante della necessità di rivedere la Costituzione nella parte relativa alla tripartizione dei poteri. Comporta anche due conseguenze che al momento appaiono nascoste dal clamore della campagna elettorale ma che dopo il voto di fine febbraio sono destinate a venire fuori ed a produrre effetti di portata sicuramente significativa sulla vita pubblica del paese.

La prima riguarda il panorama politico. Ingroia, insieme ai resti dell’Idv di Di Pietro, alla legione giustizialista campana di De Magistris, agli ultimi dei Verdi ed ai reperti archeologici del vecchio comunismo militante, ha dato vita al più classico dei “nemici a sinistra” del Partito Democratico. Nessuno pensava che questo potesse avvenire nelle dimensioni oggi indicate dai sondaggi. Bersani era convinto di aver risolto il problema provocando la scissione di Donadi dall’Idv. Invece Ingroia ha sfruttato con grande abilità il sostegno e la copertura avute dalla sinistra post-comunista nella sua crociata giudiziaria contro l’esecrato Cavaliere ed è riuscito nel miracolo di dare vita ad una ultra-sinistra al tempo stesso giustizialista e nostalgica destinata a dare filo da torcere ed a condizionare comunque la futura politica del Partito Democratico.

La seconda conseguenza riguarda, invece, il panorama giudiziario. Non perché il passaggio di Ingroia alla politica abbia provocato particolari sconvolgimenti tra le diverse e frastagliate correnti dell’Associazione Nazionale Magistrati. Chi segue le vicende interne del sindacato dei magistrati sa bene che questo è un mondo abituato da tempo e riflettere le spaccature e le lacerazioni del mondo della politica. Ma perché ha messo in luce più chiaramente agli occhi dell’opinione pubblica il rapporto speculare esistente tra l’area della magistratura di sinistra con la sinistra politica italiana. Fino a ieri, in sostanza, la corrente di sinistra tradizionale dei magistrati Italiani, cioè Magistratura Democratica, sapeva di avere, come il Pd, un “nemico a sinistra”. Oggi lo sanno anche i cittadini. Che fino a ieri avevano avuto il sentore di una scarsa sintonia tra i personaggi più rappresentativi della Procura di Milano e  quelli della Procura  di Palermo. 

Ma che oggi, dopo lo scambio di furiose malignità tra Ingroia e la Boccassini e la condanna di Bruti Liberati del protagonismo strumentale di chi usa le proprie inchieste per traghettare in politica, è diventato un dato dall’evidenza quasi cromatica. A Milano ci sono le “toghe rosse” ortodosse, a Palermo quelle “arancioni” eterodosse. In mezzo ci sono procure variegate, formate da magistrati che non sono né rossi, né arancioni, né ortodossi, né eterodossi, ma che fanno il loro lavoro sapendo bene che la visibilità si può conquistare solo adeguandosi ai colori dominanti o diventando dei battitori liberi di stampo grillino come quelle procure e quei pm che hanno cancellato da tempo le regole della competenza territoriale.

Insomma, grazie ad Igroia, ora è più chiaro che la riforma della giustizia è assolutamente indispensabile !  

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 15:45