Ora Oliver Stone  riabilita Stalin

La storia degli Usa “che nessuno vi ha mai raccontato” è il leitmotiv del nuovo documentario targato Oliver Stone. Il regista di “Platoon” e “Natural Born Killer”, già distintosi per la sua intervista a Fidel Castro, vuole raccontare la sua visione del mondo dalla Seconda Guerra Mondiale ad oggi.

Per noi italiani è la norma. Quasi tutti i manuali di storia, dal liceo all’università, grondano marxismo. Ma per gli Stati Uniti c’è ancora un certo retrogusto di novità e di sovversione. E Oliver Stone ci marcia. A partire dall’introduzione alla prima puntata del documentario, quando racconta, di se stesso e del suo Paese: «Credevamo di avere un destino segnato. Eravamo i buoni. Ora però ho girato il mondo. Ho continuato il mio percorso formativo quando ero in fanteria, in Vietnam. Ho girato molti film, qualcuno storico, e ho imparato molto di più di quanto non conoscessi all’inizio. Quando ho sentito raccontare da mio figlio cosa stesse imparando a scuola, sono rimasto turbato dal fatto che non stessero insegnandogli una visione del mondo più onesta, come quella che mi sono fatta io».

Il regista è convinto che: «Viviamo gran parte delle nostre vite in una coltre di nebbia, ma vorrei che almeno mio figlio possa aver qualcosa per vedere oltre quella che io chiamo “la tirannia del presente”». Il figlio di Oliver Stone, per la cronaca, Sean, si è convertito alla causa iraniana e alla religione islamica, dopo un sopralluogo a Teheran per girare il prossimo film.

Se rimanere in America vuol dire, secondo il regista, restare vittime di una visione del mondo propagandistica e semplificata, cosa si impara girando il resto del mondo dal Vietnam in poi? La propaganda sovietica, a giudicare dal documentario. Già nella prima puntata, infatti, si apprende che la Seconda Guerra Mondiale è stata vinta dalla sola Unione Sovietica. Gli Usa appaiono solo nello sfondo e, secondo il regista, erano troppo impegnati a costruire l’atomica e a badare ai loro interessi (in vista del ricco dopoguerra) per pensare di combattere nazisti e giapponesi. Stalin viene definito “un dittatore brutale” nel documentario. Ma nella strana doppiezza della sinistra statunitense (sensibile ai diritti umani, ma incline a dar ragione ai dittatori), tutte le azioni di Stalin sono giustificate.

Compreso il Patto Ribbentrop-Molotov. «Stalin accettò una realtà di fatto – si sente nel commento – Il suo Paese stava affrontando, da solo, il suo nemico più mortale. Doveva prendere tempo e temeva un’alleanza tedesco-polacca (sic!)... Provocò uno shock in Occidente la firma del patto di non aggressione con Hitler, spartendo con lui l’Europa orientale. La principale preoccupazione di Stalin era la sicurezza del suo Paese». Questa versione dei fatti venne raccontata a generazioni di cittadini sovietici (e italiani) fino al 1989, quando emerse, finalmente, dagli archivi qualcosa di più dettagliato sul Patto Ribbentrop-Molotov. Quando, cioè, si seppe dei protocolli segreti di spartizione, del carattere di lungo termine (e non solo un “espediente per prendere tempo”) del Patto, quando si seppe che, almeno fino alla fine del 1940, Stalin prendeva ancora in considerazione l’idea di combattere la guerra contro l’Impero Britannico, in Persia e in India, al fianco dei tedeschi. Non è un caso che “l’uomo d’acciaio” si fece cogliere completamente di sorpresa dall’attacco tedesco all’Unione Sovietica. Inutile dire che, dalla narrativa di Stone, scompaiono le persecuzioni delle popolazioni non russe, gli orrori nei Paesi occupati dall’Armata Rossa, i milioni e milioni di morti nelle deportazioni e nei gulag.

Se questa è la premessa, nelle puntate successive non ci si può attendere nulla di diverso da una serie di condanne alla politica estera statunitense. E così è: tutta la storia della Guerra Fredda, secondo Oliver Stone, altro non è che una prolungata aggressione americana alla Grande Patria Socialista. Nell’ambito della Guerra Fredda, la “portata principale” offerta da Stone è ovviamente il Vietnam. Dove non fa altro che ripetere i soliti luoghi comuni, già smentiti, tipici della sinistra pacifista: fu una guerra combattuta dagli afro-americani (falso: erano il 12% delle truppe), da soldati di leva (quasi del tutto falso: 2/3 erano volontari), terminata a causa di una sollevazione pacifista dell’opinione pubblica (falso: fino all’ultimo anno di conflitto, il sostegno allo sforzo bellico era condiviso da più del 60% degli americani). Ma al di là della mitologia pacifista tutta americana, anche il conflitto vietnamita viene presentato come un’arbitraria azione imperialista statunitense. Stone arriva a dire che John Fitzgerald Kennedy volesse il ritiro. Quando fu proprio lui ad aumentare la presenza americana da 600 consiglieri a 14mila soldati. In questo modo, si fa apparire Johnson (manipolato dai generale) come il responsabile di un conflitto “non necessario”. Mentre, nella realtà storica, sia Kennedy che Johnson, si ritrovarono costretti ad intervenire militarmente pur di non abbandonare un alleato asiatico nelle fauci di un nemico comunista ancora fortissimo.

Nelle puntate successive al Vietnam, il documentario scivola dalla storia alla fantastoria. Il complottismo, per la creazione del “nuovo ordine capitalista” fa il suo ingresso, sotto l’insegna della “Trilaterale”. L’agonia dell’Unione Sovietica viene vista come il prodotto delle cospirazioni statunitensi, non come un collasso di un sistema che, obiettivamente, non stava in piedi. Il sostegno dato ai mujaheddin (e non ai Talebani, che non esistevano ancora) nella guerra in Afghanistan, viene visto come la premessa dell’11 settembre. E da qui, buona notte: le Torri Gemelle indovina chi le ha buttate giù?

Questa è la storia riscritta, riveduta e corretta ai tempi dell’amministrazione Obama. È ancora “sovversiva”, ma sta diventando mainstream. Quando gli americani finiranno di uscire dalla loro “nebbia” e odieranno loro stessi, il mondo sarà pronto per una nuova era di pace. Sotto l’insegna di Stalin.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:52