
Il viaggio di Mario Monti in Europa alla vigilia delle elezioni politiche può sembrare molto simile a quello che nell’immediato dopoguerra fece Alcide De Gasperi negli Stati Uniti. In realtà le differenze sono sostanziali. In primo luogo perché De Gasperi puntava attraverso la visita ad apparire agli occhi degli italiani come “l’uomo dell’America” e Monti cerca invece di scrollarsi di dosso l’etichetta di “uomo della Germania”. Ma soprattutto perché il leader democristiano riportò in Italia non solo una serie di aiuti concreti che servirono a far superare al paese il momento più difficile della ripresa post-bellica ma anche una strategia politica ben precisa incentrata sulla scelta atlantica e sulla esclusione del Pci stalinista dall’area del governo. Monti, al contrario, non porta a casa un bel nulla. Né la promessa della Merkel di una qualche forma di crescita e, quindi, un qualsiasi aiuto concreto dell’Europa al nostro paese precipitato in una drammatica recessione, né uno straccio di linea politica capace di fornire almeno una speranza di uscire dal tunnel della crisi e tornare a vedere la luce.
Il presidente del Consiglio può solo esibire agli italiani la qualifica di difensore degli interessi del proprio paese concessagli dalla Cancelliera tedesca. Ma un riconoscimento del genere, oltre che essere ben poca cosa di fronte alla conferma del rigorismo intransigente della Germania, non smentisce affatto l’etichetta di “uomo della Merkel” che Monti vorrebbe cancellare per ragioni elettorali. Al contrario, la conferma in pieno. Perché è fin troppo evidente che nel pronunciare quella frase la Cancelliera abbia recitato una parte abbondantemente concordata in precedenza con i collaboratori del visitatore italiano. Il risultato del viaggio europeo di Monti è, dunque, da considerare assolutamente fallimentare. Sia perché il presidente del Consiglio, oltre che il buffetto inquietante e controproducente della Merkel, non ha ottenuto nulla di concreto. Sia, soprattutto, perché ha dimostrato che non esiste una qualche strategia politica europea per uscire dalla crisi al di fuori di quella seguita all’insegna del massimo rigore dalla Germania in difesa dei propri interessi nazionali. Dal viaggio,in sostanza, Monti è tornato a casa a mani vuote e con la sola conferma dei pregiudizi che i paesi europei del Nord hanno nei confronti del nostro paese. Il che non stupisce. Visto che i pregiudizi delle cancellerie dell’Europa continentale sono gli stessi che Monti nutre nei confronti del proprio paese.
Tutto questo, ovviamente, non significa predicare la necessità di allontanarsi da una Europa continentale troppo egoista ed incapace di ragionare fuori dello schema rigido della strenua difesa dei propri interessi particolari. Significa incominciare a porre il problema di quale possa essere una politica europeista diversa e più efficace di quella praticata con teutonica determinazione dalla Germania a tutela della propria egemonia. È vero che in campagna elettorale i partiti sono troppo impegnati dalla ricerca del consenso per soffermarsi a riflettere sulla necessità di una nuova politica europeista più rispettosa delle esigenze di tutti gli stati che fanno parte della Ue. Ma è altrettanto vero che se le forze politiche non incominciano ad affrontare questo problema, che è poi quello di far uscire l’Italia dalla recessione senza farla uscire dall’Europa, rischiano di perdere il proprio consenso. E, soprattutto, rischiano che la questione rimanga di competenza esclusiva di quella casta tecnocratica che l’ha provocata e che pensa di poterla gestire nel disprezzo più totale della volontà popolare e delle regole della democrazia. Ma alimenta l’angosciante preoccupazione che l’assenza di una qualche politica diversa da quella in atto possa condannare l’Italia ad uno stato di recessione perpetua.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 15:26