Il caso Mps e la crisi del Pd

La linea di difesa adottata dal Pd sulla vicenda Monte dei Paschi di Siena fa acqua da tutte le parti. Non solo perché pretendere di mettere sullo stesso piano l’istituto senese, il Credito Cooperativo fiorentino di Verdini e Credieuronord della Lega all’insegna del “così fan tutti” supera abbondantemente il limite del ridicolo. Ma soprattutto perché la tesi di fondo secondo cui il Pd fa il Pd e le banche fanno le banche, cioè che non esiste alcun rapporto strutturale tra il maggior partito della sinistra e la più antica banca del mondo, viene concepita dalla stragrande maggioranza dell’opinione pubblica nazionale come una balla colossale che nasconde chissà quali inconfessabili misteri.

Naturalmente i dirigenti del Pd non hanno torto quando rilevano che il caso Mps è solo la punta dell’iceberg di un fenomeno, come quello delle fondazioni espresse dal territorio che partecipano al capitale della banca di riferimento, che è esteso all’intero sistema bancario. Ma questa ragione è fin troppo debole di fronte al fatto che da settant’anni la sinistra senese tiene sotto controllo stretto Mps e che da almeno vent’anni, prima il Pds e poi il Pd, hanno spostato la loro attenzione dalle fabbriche alle banche nella convinzione che solo attraverso una ampia quota di controllo del sistema bancario il partito erede del Pci può svolgere efficacemente la propria azione politica. Nell’immaginario collettivo, in sostanza, il partito un tempo avanguardia della classe operaia è diventato il partito dei banchieri. Di quelli che hanno da tempo una banca (Mps), che ne volevano una seconda (Bnl) e che si vantano se tra i loro simpatizzanti ed elettori figurano gli uomini di spicco del sistema bancario. Non è forse vero che l’attuale presidente del Monte dei Paschi, Alessandro Profumo, cioè chi dovrebbe portare fuori dalle secche dello scandalo dei derivati l’istituto senese liberandolo dai condizionamenti della politica, ha fornito una dimostrazione precisa delle proprie simpatie politiche partecipando al voto delle recenti primarie del Pd?

La debolezza della linea di difesa dei vertici del Pd di fronte al caso Mps, dunque, dipende dal rifiuto di prendere atto di una radicata convinzione collettiva e dal non comprendere che la vicenda mette in discussione la scelta strategica fatta al momento in cui alla presenza nella fabbriche è stata preferito il controllo dei consigli di amministrazione delle banche. In tempi diversi il tradizionale controllo dei media da parte del Pd avrebbe permesso di nascondere la debolezza e difendere la linea della scelta bancaria svalutando le critiche e le accuse come il prodotto del solito e vetusto anticomunismo viscerale della destra conservatrice. 

Ma il problema di oggi è che l’attacco alla credibilità del Pd non viene solo dagli avversari tradizionali del centrodestra o del centro ma è lanciato soprattutto da quelle forze giustizialiste ed estremiste che si sono poste alla sinistra del partito di Bersani e che gli contestato non tanto il controllo di Mps quanto  il tradimento della vecchia classe operaia e degli ideali del passato. I sondaggi degli ultimi giorni parlano fin troppo chiaro. Il Pd perde consensi a tutto vantaggio di Ingroia e di Grillo e vede progressivamente svanire la prospettiva, che solo in autunno sembrava a portata di mano, di poter conquistare il governo del paese senza condizionamenti di sorta. La causa è il “destino cinico e baro”? O è la circostanza che presto o tardi i nodi vengono al pettine e la pretesa di essere al tempo stesso di lotta e di governo, degli operai e dei padroni, dei poveri e degli speculatori diventa sempre più insostenibile?

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 15:11