Cultura e Ambiente, un solo ministero

È una proposta sacrosanta, da difendere e portare avanti con la massima determinazione, quella avanzata da Galli della Loggia ed Esposito di superare gli schematismi ed i pregiudizi del lunghissimo secondo dopoguerra ed istituire un ministero della Cultura. Dal tempo del Minculpop creato dal fascismo sono ormai passati settant’anni. Ed è ora di aprire gli occhi, condizionati per troppo tempo dagli occhiali ideologici, per prendere atto che difendere, preservare e valorizzare la cultura del nostro paese non è una azione di stampo fascista, nazionalista o sciovinista ma è la conseguenza naturale del riconoscimento dei fattori determinanti della nostra identità nazionale.

Ha perfettamente ragione Walter Veltroni quando ricorda, nella sua qualità di ex ministro dei Beni Culturali e vice presidente del Consiglio del primo governo Prodi, che «chi vuole leggere la storia dell’uomo e del suo talento, chi vuole capire il Rinascimento e la storia dell’arte, deve passare per l’Italia». Ma se si vuole che la proposta di Galli della Loggia e di Esposito non rimanga lettera morta non ci si può limitare a ripetere che il nostro paese più di ogni altro  «ha dentro di se la capacità di raccontare tutta intera la trama del tempo e della civiltà». Bisogna anche, e soprattutto, identificare le cause del fatto che, a dispetto di una verità così clamorosamente evidente, l’Italia del secondo dopoguerra non solo abbia sistematicamente ignorato il settore della cultura nazionale (Veltroni ha giustamente ricordato che in passato il ministero dei Beni Culturali veniva considerato di serie “C” ed assegnato ai socialdemocratici) ma abbia addirittura operato (non inconsapevolmente, ma in maniera fin troppo cosciente) per marginalizzare le peculiarità culturali italiane in nome di un multiculturalismo dai colori diversi ma sempre e comunque di stampo internazionalista. Le ragioni ideologiche e politiche del fenomeno sono fin troppo evidenti. Galli della Loggia, Esposito e lo stesso Veltroni le conoscono fin troppo bene. E sono il frutto non solo della comprensibile reazione alle esasperazioni nazionalistiche del fascismo ma anche delle azioni di chi era convinto che solo schiacciando uno dei fattori principali dell’identità nazionale italiana sarebbe stato possibile affermare le proprie convinzioni ideologiche.

Ma accanto a queste ragioni c’è ne sono altre, sia della stessa natura, sia più pratiche e concrete, che vanno assolutamente evidenziate. C’è il ritardo culturale nel riconoscere che tra i fattori dell’identità nazionale del nostro paese non c’è solo la cultura ma anche l’ambiente. Non è forse vero, infatti, che il paesaggio inteso come l’ambiente e la natura del territorio sia, dalla catena alpina agli Appennini, dalle lagune alle coste, dalle pianure alle colline, il tratto distintivo del “marchio Italia”? C’è l’incapacità di comprendere che, proprio per le sue incredibili peculiarità, ambiente e cultura sono nel nostro paese strettamente ed indissolubilmente intrecciate. Pompei ed il Vesuvio, Roma ed il Tevere Napoli ed il golfo, Venezia e la sua laguna e via di seguito, praticamente all’infinito. In ogni paese la natura ha fatto la storia e la storia ha modellato la natura. Ma è solo nel nostro che il fenomeno è stato più marcato e  ha prodotto i risultati più numerosi e più stupefacenti. C’è, infine, la presa d’atto che ad impedire il riconoscimento del valore della cultura e dell’ambiente come fattori non solo di identità ma anche come risorse e fattori di sviluppo c’è anche la chiusura settoriale e corporativa degli apparati statali.

Al posto di una struttura unitaria capace di portare avanti una politica in grado di difendere, preservare, valorizzare ed utilizzare al meglio le vere ed inesauribili risorse naturali dell’ Italia, ci sono due distinti ministeri ad occuparsi di cultura ed ambiente, unico fattore d’identità nazionale. E tra loro non c’è alcun rapporto di collaborazione ma solo di competizione. A cascata, ci sono strutture distinte e separate (soprintendenze, parchi e via di seguito) chiuse e preoccupate solo di preservare i propri ristretti ambiti di competenza e di potere. La proposta di Galli della Loggia ed Esposito, quindi, andrebbe integrata dalla proposta della creazione di un unico ministero della Cultura e dell’Ambiente capace di rompere le chiusure corporative e fondere le strutture oggi separate in un unico organismo capace di difendere, conservare e valorizzare al massimo i due elementi fondati della identità nazionale del nostro paese. Vasto programma, come avrebbe detto ironicamente De Gaulle? Certamente si. Ma siamo proprio sicuri che per uscire da una crisi che impone la ristrutturazione del settore industriale e l’identificazione di altri fattori di sviluppo non ci voglia anche una qualche dose di utopia?

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 15:20