I calcoli di Ingroia e quelli di Monti

«Ci vediamo in Parlamento!». La dichiarazione con cui Antonio Ingroia ha chiuso la porta a qualsiasi ipotesi di desistenza con il Pd al Senato non rappresenta una minaccia, ma un preciso disegno politico. Il magistrato in aspettativa della Procura di Palermo ha fatto bene i suoi conti. In alcune regioni conta di superare lo sbarramento dell’otto per cento fissato per la rappresentanza a Palazzo Madama. E, sulla base di questa previsione, punta apertamente a porre dopo il voto il Pd di fronte all’alternativa concreta se allearsi con il centro di Monti o con la sinistra giustizialista della sua Rivoluzione Civile. Progetto ambizioso? Niente affatto. Perché tutti i sondaggi indicano che Bersani dovrebbe conquistare la maggioranza alla Camera, ma non raggiungere lo stesso risultato al Senato. E stabiliscono che se il leader del Pd vorrà effettivamente entrare a Palazzo Chigi da Presidente del Consiglio dovrà necessariamente o allearsi con Monti, Fini e Casini, dando vita a un centrosinistra a guida non centrista, o con Ingroia, mettendo in piedi il primo governo formato esclusivamente da forze di sinistra della storia del nostro paese.

Ingroia conta di portare avanti il suo disegno puntando su due fattori precisi. Il primo è la suggestione che l’ipotesi di un governo formato solo dalla sinistra può sollevare all’interno di un Pd dove l’ala liberal è stata emarginata a tutto vantaggio dei “giovani turchi” che salutano con il pugno chiuso e che hanno un rapporto sempre più stretto con Sel di Nichi Vendola. Il secondo è la circostanza che il suo rivale per l’alleanza di governo con il Pd sia un Mario Monti talmente convinto di essere un novello “uomo della Provvidenza” per congenita superiorità nei confronti del resto della classe dirigente da non capire quale potrà essere il suo vero ruolo politico nella prossima legislatura. Con un atto di incredibile presunzione, infatti, l’attuale Presidente del Consiglio si è convinto che la sua “salita in campo” abbia come unico risultato di trasformarlo nel Ghino di Tacco della Terza Repubblica.

Cioè nel personaggio che, posto al centro della scena politica nazionale, decide le sorti del paese ponendo condizioni a chiunque sia costretto a chiedergli di partecipare alla formazione della futura coalizione di governo. Ma questa convinzione, forse sorretta dai consigli di Fini e Casini, interessati solo alla personale sopravvivenza e abbacinati dal mito della politica dei “due forni” della Prima Repubblica, non tiene conto delle condizioni politiche reali. Che, grazie proprio alla salita in campo di Monti utile solo a frazionare il campo dello schieramento antagonista della sinistra e all’aggregazione attorno ad Ingroia di un movimento giustizialista più consistente del vecchio Idv, ha spostato il baricentro della politica nazionale. E ha assegnato a Bersani e al Pd la possibilità di realizzare a proprio piacimento (sempre che il centrodestra non realizzi un recupero miracoloso) la vecchia politica dei due forni di andreottiana memoria. Non è Monti, infatti, che dopo il voto può scegliere con chi allearsi visto che non è l’ago della bilancia tra Pdl e Pd. Ma è Bersani che, posto nell’alternativa tra Monti e Ingroia, è messo nella condizione di poter scegliere con chi realizzare l’alleanza di governo.

Al momento si dà per scontata solo l’ipotesi dell’alleanza tra Pd e l’area dei centristi montiani. Ma la partita elettorale è ancora tutta da giocare. Soprattutto da parte di Ingroia , che conta di caratterizzarsi sempre di più come l’antagonista di Monti e l’alfiere dell’alternativa di sinistra. E da parte di un centrodestra che ha ancora molto da recuperare svolgendo il ruolo di unica alternativa alle alternative rosse Bersani-Ingroia o a quelle rosa Bersani-Monti.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 15:32