La campagna aggressiva di Bersani

Ma a chi è rivolta l’accusa di essere il cancro del sistema democratico mossa da Pierluigi Bersani ai cosiddetti “partiti personali”? Il bersaglio apparente è, ovviamente, Silvio Berlusconi. Che il segretario del Pd ha tutto l’interesse ad attaccare per far scattare nel corpo elettorale quel meccanismo bipolare grazie al quale può rilanciare l’argomento del “voto utile” a vantaggio del proprio partito. Ma dietro il bersaglio apparente e scontato rappresentato dal Cavaliere si nascondono gli obbiettivi veri del segretario del Pd. Che sono Mario Monti ed Antonio Ingroia. Cioè i due personaggi che, sulla scia di quanto avvenuto negli ultimi vent’anni nella politica nazionale, hanno dato vita a formazioni politiche personali e, con queste, puntano a rendere impossibile il disegno di Bersani di vincere a mani basse alla Camera ed al Senato ed entrare da trionfatore a Palazzo Chigi. Berlusconi, infatti, per il leader dei democratici è un avversario fin troppo utile. Viceversa Monti ed Ingroia sono i nemici più insidiosi da combattere e cercare di neutralizzare.

Bersani sa bene che la presenza della lista unica centrista al Senato e del rifiuto di ogni forma di desistenza da parte della lista giustizialista dei tre ex pm (Ingroia, Di Pietro, De Magistris) rappresentano i principali ostacoli sulla sua strada verso la vittoria elettorale. Ed anche se non rinuncia all’idea di una collaborazione con Monti nel dopo elezioni ed alla speranza di riassorbire in qualche modo la spina giustizialista in nome dell’antico principio leninista del “nessun nemico a sinistra”, è obbligato a portare avanti una campagna elettorale caratterizzata da una conflittualità crescente contro i due i due potenziali alleati. La ragione è che Monti può erodergli quella parte dell’elettorato del Pd che alle primarie ha votato per Renzi e che è portatore di istanze vagamente liberaldemocratiche, mentre Ingroia può strappargli quella parte della base che è stata allevata dal Pd con dosi massicce di giustizialismo e che è fatalmente attratta dai giustizialisti più duri e puri.

Bersani, quindi, non può più continuare a mantenere toni bassi e misurati nel tentativo di conservare fino alla data delle elezioni l’alto numero di consensi conquistati grazie alla lunghissima campagna promozionale delle primarie. Deve uscire allo scoperto e radicalizzare al massimo i toni contro i suoi diretti competitori. Al tempo stesso, sia Monti che Ingroia non possono permettersi ambiguità di sorta nei confronti del Partito Democratico. Il presidente del Consiglio potrà anche pensare di essere destinato ad accordarsi con Bersani nella prossima legislatura. Ma per il momento, se non vuole subire una cocente sconfitta elettorale personale, deve intensificare i suoi attacchi al Pd accusandolo di aver emarginato l’area liberal e riformista del partito a tutto vantaggio dell’anima conservatrice e massimalista appiattita sulla linea della Cgil.

E l’ex pm Ingroia, anche se per convenienza avrebbe desiderato realizzare qualche accordo di desistenza con il Pd, non può permettersi cedimenti di sorta e deve andare avanti sulla linea del giacobinismo più estremo per conquistare quella parte dell’elettorato di sinistra deciso ad opporsi a qualsiasi ipotesi di alleanza con il montismo. Oltre tutto anche Ingroia ha il suo nemico a sinistra che si chiama Beppe Grillo. E se non vuole che il giacobinismo dell’antipolitica attragga il giacobinismo giustizialista deve alzare sempre di più i toni dello scontro con Bersani. La radicalizzazione delle posizioni a sinistra è, dunque, una strada obbligata. Che per un verso può servire a Berlusconi per accelerare la sua rimonta ma che per l’altro è destinata ad accentuare il rischio di ingovernabilità nella nuova legislatura con conseguente rischio di nuove elezioni nel 2014. Sempre che la crisi non provochi ulteriori e più gravi sorprese.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 15:25