La sinistra parabola  di Giampaolo Galli

Se pensavate di averle viste tutte, mettetevi comodi e armatevi di pop-corn. Questa campagna elettorale che pare ormai una guerra di figurine (e figuranti) ci riserverà ancora moltissime sorprese, alcune belle, altre meno.

Nella top ten delle cose (e delle facce) da ricordare c’è senza ombra di dubbio la discesa in campo di Giampaolo Galli, direttore generale di Confindustria prima con Emma Marcegaglia e poi con Giorgio Squinzi. È persona preparata e stimatissima trasversalmente ma, come accade spesso a chi sta dalle parti di viale dell’Astronomia, soffre di leggero strabismo politico.

All’inizio del 2012, Galli era salito agli onori della cronaca per un’affermazione decisamente condivisibile da qualsiasi persona di buonsenso. «Ad un certo punto - aveva affermato alla trasmissione di La7 Omnibus - dovremo porci anche la prospettiva del licenziamento degli statali». Apriti cielo. Di rimbalzo la segretaria della Fp-Cgil, Rossana Dettori aveva definito Galli «senza idee», descrivendolo come uno che «preferisce raschiare il fondo facendo pagare il costo interamente ai ceti meno abbienti, puntato il dito contro il solito capro espiatorio, il pubblico impiego». Sibillina la posizione ufficiale del sindacato di Susanna Camusso: «Confindustria deve stare più attenta a quel che dice».

Galli è sempre stato un direttore generale di Confindustria abbastanza presente. E così, tra un’ospitata a Ballarò e l’altra, a marzo del 2012, con il dibattito sulla riforma Fornero in pieno svolgimento, il nostro torna a bomba sul tema del lavoro. «Restiamo un paese in cui licenziare è particolarmente difficile e costoso», spiegava sicuro intervenendo ad un incontro organizzato dal Pdl a Milano. Non pago di questo suo presenzialismo quantomeno singolare, il direttorissimo finisce anche tra i primi firmatari del manifesto gianninano di “Fermare il Declino”. 

A meno di 12 mesi di distanza da quelle prese di posizioni e sconfessando tutto quanto detto e fatto da Confindustria in questi anni, Galli lascia il Team Squinzi e vola verso un seggio sicuro a Montecitorio.

C’è un particolare non irrilevante: la carrozza che porterà Giampaolo Galli in Parlamento ha l’insegna del Pd, è guidata da Pier Luigi Bersani e ha stretto una solida alleanza con Nichi Vendola. In Campania, per far capire il clima, il capolista si chiama Guglielmo Epifani, è stato segretario generale della Cgil e ha sempre detto l’esatto contrario di quel che ha sostenuto sin qui Galli.

Adesso Bersani farebbe bene a spiegarci, se ci riesce, chi tra Epifani e Galli ha cambiato idea e chi, tra Cgil e Confindustria, suggerisce la linea al Pd. L’Italia Giusta merita di saperlo.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:50