La deriva sovietica del sindacato italiano

Nel corso della puntata di Bersaglio mobile del 3 gennaio, talk di approfondimento politico condotto da Mentana su La7, ho ascoltato un lungo sproloquio del capo della Fiom Landini, innamorato pazzo della cosiddetta pianificazione democratica. Pur conoscendo la sinistra caratura del personaggio, mi ha colpito la lunghezza di un elenco di piani politico-burocratici con cui, a suo vedere, la mano pubblica dovrebbe rilanciare la crescita economica del nostro disgraziatissimo Paese. 

Sembrava di assistere alla relazione di un eminente esponente del famigerato Gosplan, l’organo sovietico creato per realizzare i noti piani quinquennali di staliniana memoria. Roba d’altri tempi dunque; ma ciononostante questo ingombrante personaggio ha espresso il suo evidente delirio ideologico come se stesse spiegando al popolo dei telespettatori sintonizzati verità assolutamente rivelate. Eppure non è solo nella testa di Landini che alberga l’idea di uno sviluppo da realizzare attraverso una decisione della sfera politico-burocratica. A credere che si possa invertire l’andamento del Pil, aumentando conseguentemente consumi, investimenti e occupazione, a colpi di decreti c’è una buona parte dei protagonisti che si sfideranno nelle prossime elezioni politiche, Bersani e Vendola in testa. 

Tanto è vero che soprattutto a sinistra, ma non solo, viene ripetuto il mantra di una ricetta in grado aumentare la crescita e, soprattutto, l’occupazione stabile. Proprio su quest’ultimo aspetto lo stesso segretario del Pd sta insistendo quasi ossessivamente da mesi, corroborando implicimante la succitata visione del mondo di Landini.  In un fritto misto di nuove tasse -su tutte una feroce patrimoniale sui ricchi o presunti tali- e di interventi vetero-keynesiani, Bersani e il suo pupillo Fassina vorrebbero convincere gli italiani che questa rappresenta l’unica strada per raddrizzare la baracca, dando un futuro meno fosco alle nuove generazioni. Una impostazione che, d’altro canto, grandi Paesi dell’Occidente stanno seguendo con esiti a dir poco catastrofici. Basti osservare la situazione drammatica dell’America di Obama, portata dal leader mondiale del partito della spesa pubblica sull’orlo del baratro. 

Ciononostante anche in Italia gli eredi di un collettivismo bocciato dalla storia hanno tirato una linea, rubricando l’esperienza del comunismo come un fallimento dovuto alla mancanza di libertà democratiche, senza abbandonare l’idea di uno Stato motore ed artefice dello sviluppo. Ed è questa uno delle più grandi imposture che ha consentito alla sinistra statalista italiana di mantenersi ai vertici del sistema politico. Ovvero l’abilità di essere riusciti a rifarsi una verginità, evitando di far comprendere ai più che il problema del collettivismo non è legato alla mancanza della citata libertà democratica, bensì alla fondamentale libertà economica. Solo quando quest’ultimo aspetto è garantito in una democrazia si può pensare ad una crescita spontanea della ricchezza e dell’occupazione. Certamente non nell’Italia attuale, regno incontrastato della spesa pubblica e di una corrispondente tassazione da record mondiale.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 15:38