La lunga ombra dei neo-massimalisti

C’è un ostacolo nuovo al progetto tenacemente e testardamente perseguito da Giorgio Napolitano. Quello di avviare la prossima legislatura all’insegna di un ritorno alla Prima Repubblica attraverso la riesumazione della vecchia formula del centrosinistra organico fondato per l’occasione sull’accordo tra Monti e Bersani. Non si tratta della dilemma su cui potrà assumere le vesti di nuovo presidente del Consiglio del governo che dovrebbe essere espresso dall’accordo tra neo-centristi montiani e la coalizione Pd-Sel. La questione se il compito debba toccare a Bersani o a Monti, come ha ripetuto furbescamente Napolitano ovviamente sicuro che la sinistra avrà più voti del centrino, la dirimerà il corpo elettorale.

Il ché significa che l’incarico di formare il nuovo governo toccherà in ogni caso al segretario del Pd. Sia se la sinistra riuscirà a conquistare il premio di maggioranza alla Camera, sia se non riuscirà ad ottenerlo al Senato. Il vero ostacolo spunterà fuori al momento della trattativa che il Bersani dovrà avviare con Monti ed i suoi centrini per la definizione del programma e della composizione della nuova compagine governativa. È probabile che Monti si tirerà fuori dalla trattativa accettando l’offerta, già anticipata a suo tempo dal leader della sinistra, di succedere a Napolitano al Quirinale. Ed è certo che né Casini, né tantomeno Fini solleveranno questioni di sorta di fronte alla generosa concessione di qualche dicastero marginale per loro stessi o per i loro uomini. Le difficoltà maggiori verranno paradossalmente proprio dal partito del presidente incaricato.

E riguarderanno non tanto la distribuzione dei posti quanto il programma del governo. Perché, come ha indicato il risultato delle primarie per le candidature del Pd, la stragrande maggioranza della prossima rappresentanza parlamentare della sinistra sarà schierata su posizioni ispirate ad un laburismo radicale, cioè alla passiva riproposizione del vecchio massimalismo, caratterizzato da una ostilità fin troppo ostentata nei confronti delle istanze riformiste. Non saranno, in sostanza, i centristi senza o con Monti a porre condizioni ad una sinistra vincitrice ma non troppo. Saranno i neo-massimalisti alla Fassina o i giovani turchi alla Orfini, cioè personaggi fermi allo statalismo dirigista degli anni ‘70 del secolo scorso, a pretendere da Bersani di non “fare prigionieri” sul piano programmatico nei confronti degli sventurati del nuovo centro trattati alla stregua delle foglie

di fico del partito dei contadini nella Polonia ai tempi del regime comunista. Il prossimo governo, in altri termini, non sarà come spera Napolitano un governo di centro-sinistra ma un governo di sinistra-sinistra. In cui imporranno le proprie idee gli uomini del nuovo gruppo dirigente del Pd-Sel forti del successo ottenuto contro il povero Matteo Renzi e resi intransigenti ed arroganti dalla conquista della maggioranza del partito con le primarie per le candidature realizzate all’insegna della “normalizzazione” interna dopo il carnevale renziano. Non sarà facile per Bersani di rimettere in riga i suoi “ squadristi” neo-massimalisti dopo averli scatenati e sostenuti con ogni mezzo (soprattutto con l’accordo con Vendola). E non è neppure detto che il segretario del Pd abbia sul serio voglia di liberarsi da questa sorta di zavorra che dopo aver spostato a sinistra il baricentro del Pd conta di fare altrettanti con l’intero quadro politico italiano. Per questo è necessario che chi non vuole morire post-comunista si opponga con il proprio voto a questa inquietante prospettiva. Non per anti-comunismo viscerale ma per avere almeno una speranza di uscire dalla crisi e non precipitare in un abisso senza speranza.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:48