La terzietà delle istituzioni

È sicuramente fondata l’accusa che viene mossa ad Antonio Ingroia di usare la notorietà ottenuta con le inchieste giudiziarie sulla classe politica per partecipare alla prossima campagna elettorale con buone possibilità di essere eletto in Parlamento. Il magistrato palermitano, ovviamente, ha tutto il diritto di sottoporre le proprie idee al giudizio degli elettori. Ma non può non incassare la critica delegittimante di usare il prestigio e l’autorevolezza derivanti dalla sua attività di magistrato per entrare a far parte della casta politica fino a ieri così tanto inquisita e disprezzata. Il caso Ingroia, però, non è affatto isolato. Accanto ad esso si sta manifestando un caso analogo altrettanto scandalosamente inopportuno. Solo che mentre su Ingroia le polemiche si sprecano, sul fenomeno analogo e forse addirittura più grave nessuno osa profferire parola. Il caso in questione è quello del governo tecnico, a cui era stato affidato il compito di sostituire non solo un governo politico ma la classe politica in genere, che si prepara ad entrare in campagna elettorale con liste che ad esso fanno riferimento. Il tutto con l’obbiettivo dichiarato di togliere voti ai partiti grazie ai quali ha governato per un anno di seguito.

Anche in questo caso nessuno può negare il diritto a partecipare alle elezioni ai  ministri del governo Monti ed allo stesso presidente del Consiglio. Quest’ultimo, ad esempio, può sempre dimettersi da senatore a vita per ottenere l’investitura popolare a succedere a se stesso nella prossima legislatura. Ma tacere sulla inopportunità di una metamorfosi così radicale, come fanno i commentatori dei grandi media del paese, appare decisamente bizzarro. O, se vogliamo, vergognoso. Perché accanto alla inopportunità di un governo tecnico che doveva salvare il paese dalla politica e che decide di diventare politico per perpetuare se stesso, c’è anche una questione istituzionale di non poco conto. Può garantire l’imparzialità delle istituzioni in una delicatissima fase elettorale un governo che diventa concorrente diretto delle forze politiche in campo? Non c’è bisogno dei costituzionalisti del Quirinale per capire che la questione sia particolarmente scottante e spinosa. Perché il governo in carica non è un normale esecutivo politico che, come è quasi sempre capitato nella storia repubblicana, gestisce le elezioni sforzandosi di tenere distinte, per una questione di eleganza istituzionale, il ruolo di governo da quello di competitore politico. 

Il governo in carica è un esecutivo che deve la propria nascita e la propria sopravvivenza proprio a quella caratteristica tecnica che ne avrebbe dovuto garantire la terzietà rispetto ai partiti della maggioranza e della stessa opposizione. Ma se questa caratteristica di fondo, cioè la terzietà, scompare, ed il governo tecnico diventa politico decidendo di collocarsi in favore di alcune liste e contro altre, perché mai all’esecutivo dovrebbe essere lasciato il compito di gestire le prossime elezioni? Solo per consentire ai vari ministri tecnici decisi a diventare politici a tempo pieno di sfruttare a fini elettorali la notorietà, l’autorevolezza ed i privilegi che vengono loro dal ruolo governativo? Sarà il caso che qualcuno risponda a tali interrogativi. Ed è opportuno che questo qualcuno sia il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ha “inventato” la “soluzione Monti” e che oggi dovrebbe spiegare per quale ragione i cittadini italiani dovrebbero avere la sensazione di partecipare ad una campagna elettorale in cui le istituzioni non sono al di sopra ma una delle parti in campo.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:05