Pagato profumatamente con i soldi del canone, Roberto Benigni ha inscenato su Rai1 una sorta di liturgia costituzionalista. Da convinto liberale, debbo dire che lo spettacolo è stato a dir poco indecoroso. Soprattutto sul piano delle semplificazioni e delle approssimazioni storiche, l’apologo del comico toscano ci è sembrato simile ad una pagliacciata.
In particolare, al di là di alcune gravi forzature - come quella di contrapporre la Repubblica alla Monarchia assoluta, dimenticandosi che pure i Savoia regnavano sotto una Costituzione -, ci è sembrato del tutto sganciato con la realtà dei fatti il suo tentativo di far discendere l’evoluzione dell’Italia e dell’Europa dalla presenza di una Carta piena zeppa di propositi edificanti.
A suo parere, infatti, la nostra Costituzione avrebbe influenzato mezzo mondo, contribuendo - tra le altre cose - a mantenere la pace nel Vecchio Continente. Ma è nella premessa iniziale che si è manifestato l’aberrante visione statolatrica del Benigni, unita ad un evidente desiderio di portare acqua al mulino della sua nota parte politica; ossia una sinistra da sempre sostenitrice di un sistema fondato proprio sul primato della medesima politica.
Tant’è che il nostro ha esordito tessendo l’elogio della politica, quindi indirettamente dei partiti, considerandola come il mezzo e il fine di ogni società evoluta. Il presente ed il futuro dei nostri figli, a parere di codesto cantastorie, dipenderebbe esclusivamente dagli uomini che siedono nelle varie stanze dei bottoni della democrazia. Come dei grandi e piccoli taumaturghi, nella religione benignarda, costoro avrebbero l’onere e l’onore di mettere in pratica gli esaltanti principi espressi da una Costituzione di stampo quasi sovietico.
Ma è proprio la pretesa di far discendere la realtà da un atto deliberato della sfera politica, che per Benigni rappresenta una sorta di verità rivelata, che noi liberali contestiano in radice. Noi crediamo, in totale antitesi rispetto al delirio dell’autore de La vita è bella, che gran parte di ciò che esiste al mondo sia il frutto di uno sviluppo spontaneo dell’uomo e delle sue capacità organizzative e che, di coseguenza, la sfera politica dovrebbe essere limitata a pochi e circoscritti aspetti. Non certamente quelli di creare il Paradiso in terra. D’altro canto, pur se molta acqua è passata sotto i ponti dell’Arno, Benigni continua a riproporre, attraverso una aberrante idea di ingegneria sociale, quella visione di uno stato leviatano che ovunque ha creato lutti e sofferenze. Per questo, noi liberali crediamo che molta parte della Costituzione italiana vada completamente riscritta, soprattutto laddove essa pretende di costruire una società nuova. I cambiamenti più profondi, ahinoi, non si raggiungono né per decreto legge e né ascoltando le tele-prediche dei comici politicamente schierati.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:30