Gianni Pardo, apprezzato analista politico, ha scritto un pezzo sulla ridiscesa in campo del Cavaliere criticando, sostanzialmente, la scelta di Berlusconi che non avrebbe saputo resistere alla tentazione, senza comprendere che è giunta la fine del proprio percorso. Quel ritorno, continua Pardo, è come un inutile «accanimento terapeutico», così come inutile fu la fuga di Napoleone dall’isola d’Elba quando ormai l’intera Europa era coalizzata contro di lui e quando ormai le idee della rivoluzione avevano definitivamente vinto.
Sulle ragioni della discesa in campo del Cavaliere credo debba farsi una premessa. L’Italia è l’unico paese occidentale dove un governo può essere “licenziato” senza attendere le elezioni successive. Il potere dell’esecutivo era ed è ridotto al lumicino e malgrado i tentativi di Berlusconi di aggirare la Carta costituzionale introducendo una qualche forma di presidenzialismo, la situazione continua ad essere lontana dalle democrazie occidentali. Berlusconi ha dovuto dimettersi quando, con manovre di palazzo, è venuto meno l’appoggio della Lega, ed anche Prodi ha dovuto sgombrare il campo, anch’egli per manovre di palazzo, per ben due volte. E quando si è resistito ai ricatti delle manovre di corridoio, ciò è avvenuto a scapito delle scelte riformatrici su pensioni, giustizia, riforma dello stato e quant’altro.
In parole semplici, ha continuato a pesare sull’Italia la situazione ibrida tra un maggioritario fittizio e una Carta costituzionale che non era stata adeguata alla nuova realtà elettorale e permetteva le manovre di palazzo in cui sono grandi maestri ex-comunisti ed ex-democristiani. Il paese è rimasto ingessato anche per la contrapposizione viscerale tra destra-sinistra, comunisti-anticomunisti, berlusconiani-antiberlusconiani, chiuso ad ogni novità, e sordo a qualsiasi possibile soluzione. Il tentativo vero per scardinare questa ingessatura si è sviluppato con l’arrivo sulla scena di Matteo Renzi, che ha tentato di chiudere definitivamente con la presenza dei neo o dei post-comunisti ma con poco successo, dato che le primarie, come era prevedibile, le ha vinte l’apparato da rottamare che ha determinato la vittoria di Bersani portando indietro le lancette dell’orologio di ben 17 anni. Se avesse vinto Renzi il candidato da contrapporgli era sicuramente Angelino Alfano, ma avendo vinto Bersani c’è necessità di evitare che lo sforzo renziano rimanga un’incompiuta. Va completata, allora, la rivoluzione renziana rottamando quella parte di Costituzione che può definirsi “la più brutta del mondo”. E solo Berlusconi è in condizioni di poterlo fare essendo, oggi, l’unico in condizione di riaggregare e riorganizzare le forze moderate e riformiste anche aldilà dello stesso Pdl, e di poter tentare la vittoria. Completare la rivoluzione renziana è per i moderati un imperativo categorico teso a dare all’Italia uno status di governabilità che, malgrado le alchimie, non può essere conseguenza di una legge elettorale ma dell’introduzione del semipresidenzialismo. Non penso ci possa essere qualcuno che realisticamente possa individuare un candidato dei moderati in grado di affrontare Bersani, con qualche esigua speranza di successo, stante la diaspora che ha cominciato da tempo a distruggere la casa dei moderati. L’assenza di Berlusconi avrebbe di sicuro allargato la schiera degli astensionisti, mentre la sua presenza la riduce sensibilmente, portandolo a ridosso da chi già si sentiva seduto a Palazzo Chigi. Se non fosse così, non si spiegherebbe la discesa in campo di tutta la vecchia schiera di soldatini antiberlusconiani che, da un anno a questa parte, erano rimasti letteralmente disoccupati, e la ripresa del giochino dello spread.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:33