Si apre il capitolo della crisi di governo

Tutto questo non significa escludere dopo le elezioni un eventuale Monti-bis. Significa chiarire che la stagione dei tecnici è finita e che se l’attuale presidente del Consiglio pensa di tornare a Palazzo Chigi nella prossima legislatura lo potrà fare solo alla guida di un governo politico segnato da una coalizione di chiara ispirazione liberaldemocratica e moderata. 

Nel frattempo, però, il centrodestra - con o senza Berlusconi, con o senza Alfano, con il Pdl unito o spacchettato -  deve passare all’attacco di un esecutivo zeppo di ministri che usano la propria carica tecnica per preparare il proprio futuro politico in nuove aggregazioni da far sbocciare sulla rovina dei partiti dell’attuale maggioranza. Deve farsi interprete dell’ondata di rabbia e di preoccupazione che sale da una società ottusamente ed inutilmente vessata da una imposizione fiscale esagerata. Non può rifiutarsi di cavalcare ed incanalare una protesta che, se lasciata senza controllo e senza sbocco, non porta solo all’astensionismo o a Grillo ma può favorire ogni genere di avventurismo. Aprire la crisi nel momento in cui il paese impazzisce per capire a quanto ammonta la patrimoniale mascherata dell’Imu è, dunque, una sorta di strada obbligata per il centrodestra. Non farlo sarebbe un suicidio ed un pessimo servizio ad un paese che ha il diritto di vivere nella normalità democratica e non nell’emergenza dirigista ed autoritaria. 

Si gira pagina. Si archivia la gigantesca Piedigrotta mediatica delle primarie del Pd. E si entra ora nella prima parte della campagna elettorale. Quella che fino a ieri è stata dominata dalla sinistra e che adesso potrebbe essere segnata dalla ripresa dell’iniziativa del centrodestra. Non con primarie, che non fanno parte della tradizione e delle abitudini di un popolo di moderati che, tranne alcune sue minoranze, non ama le piazze e le file davanti ai gazebo. Ma con una nuova iniziativa politica. Che per ottenere lo stesso effetto mediatico delle primarie archiviate del Pd deve essere clamorosa e che non può non consistere nel provocare la caduta del governo Monti e la fine anticipata della legislatura.

Tutto questo per costringere Giorgio Napolitano ad anticipare ed accorpare le elezioni politiche e quelle amministrative alla data del 10 marzo? Niente affatto. Se proprio si vuole usare come pretesto la questione dell’election day si può anche usare questo argomento in nome delle esigenze del risparmio e del semplice buon senso. Votare per le regionali a marzo e fissare le politiche e le comunali nel mese successivo è uno spreco di soldi ed una offesa alla logica più elementare. Ma il centrodestra sbaglierebbe se si nascondesse dietro l’alibi dell’election day. Aprire la crisi del governo Monti significa compiere una grande e significativa operazione politica. Che può rimettere in corsa il Pdl e tutte le forze che si oppongono alla sinistra considerata oggi trionfante in una campagna elettorale che, in caso contrario, avrebbe due soli protagonisti: Bersani e Grillo. Può essere che la mossa non riesca a ribaltare il risultato elettorale che il segretario del Pd considera già scritto. Ma, di sicuro, può far risvegliare il popolo assopito e deluso del centrodestra e spingerlo, quanto meno, a vendere cara la pelle e a non arrendersi prima di aver giocato la partita.

Non si tratta di bocciare Monti come persona. Si tratta di chiudere una volta per tutte con un esperimento tecnico che non solo non ha prodotto i risultati sperati ma ha addirittura provocato una serie di record economici negativi (i duemila miliardi di debito pubblico, la disoccupazione oltre ogni soglia tollerabile) oltre a sottoporre l’intero paese ad un salasso ormai giunto ogni oltre ragionevole livello di sopportazione.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:06