Denis Verdini ha perfettamente ragione nel chiedere il ritiro di tutti i candidati alle primarie del Pdl. E non perché il ritiro va incontro ai desideri di Silvio Berlusconi, che alla primarie non ha mai creduto. E neppure perché il passo indietro di Alfano, Meloni, Crosetto e tutti gli altri aspiranti premier di un partito che non sa neppure se sarà ancora vivo al momento delle elezioni, può favorire quella ricomposizione unitaria di un soggetto politico che senza unità non può correre verso Palazzo Chigi ma solo verso la Rupe Tarpea. La ragione che rende inoppugnabile la proposta di Verdini è diversa e non ha nulla a che fare con le questioni interne del Pdl, i rapporti tra il Cavaliere ed il suo delfino, gli ex An e le amazzoni, i leali ed i cortigiani. Questa ragione emerge con assoluta chiarezza da una domanda banale. Ma il sistema mediatico nazionale assicurerebbe alle primarie del Pdl lo stesso risalto dato alle primarie del Pd? Negli Stati Uniti, cioè da dove è stato importato il sistema delle primarie, il sistema mediatico a stelle ed a strisce assicura attenzione e spazi sostanzialmente identici a Democratici e Repubblicani. Se non ci fosse questa parità non ci sarebbero neppure le primarie. Al punto che l’eguaglianza del rilevo mediatico data alle elezioni interne dei due principali partiti del paese si verifica in qualsiasi caso. Anche quando i repubblicani sono in ascesa ed i democratici in declino o viceversa. E questa eguaglianza si manifesta come la condizione essenziale, determinante e qualificante del funzionamento del sistema democratico statunitense. Nel nostro paese, invece, abbiamo importato le primarie ma ci siano dimenticati di inserire nel pacchetto l’indispensabile condizione della democrazia. L’attenzione data dal sistema mediatico nazionale alle primarie del Partito Democratico, o meglio, alla sfida tra il duo Bersani-Vendola e Renzi (Tabacci e Puppato sono stati praticamente ignorati), è stata incredibile, totalizzante, ossessiva. E sempre segnata dall’esaltazione della capacità innovativa del Pd e dei suoi dirigenti, accompagnata dalla sottolineatura della contemporanea inadeguatezza antropologica e genetica del Pdl e dei suoi dirigenti. Non c’era sicuramente bisogno delle primarie del Pd per avere la conferma del collateralismo nei confronti della sinistra della stragrande maggioranza dei media nazionali. Ma è stato il modo con cui questo collateralismo, figlio della vecchia egemonia politica e culturale della sinistra stessa sul mondo informativo italiano, si è manifestato per dimostrare che in Italia le primarie non sono una condizione di democrazia ma un segnale inquietante di deriva plebiscitaria e totalitaria. I candidati alle primarie del Pdl sanno benissimo che non potrebbero mai avere la stessa attenzione, lo stesso rispetto, gli stessi spazi avuti da Bersani e Vendola da un lato e da Renzi dall’altro. Per loro ci sarebbe solo disattenzione, critica, sberleffo. Il tutto in spazi ridotti e sempre dominati dal confronto negativo con il plebiscito totalitario assicurato al Pd. Verdini, dunque, ha ragione. Non serve a nulla avere dopo il danno anche la beffa. Ma servirebbe anche incominciare a riflettere sugli errori commessi in passato dai dirigenti Pdl sul terreno della comunicazione. Chi ha seminato lottizzati, amanti e zoccole non può che raccogliere tempesta!
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:19