Napolitano, Monti, e la sinistra di Bersani

In realtà, come si rileva negli ambienti vicini a Palazzo Chigi, non è affatto vero che un senatore a vita non possa presentarsi alle elezioni. Può rassegnare le dimissioni da Palazzo Madama e candidarsi a Montecitorio. Ed anche se non esiste un precedente del genere, e se mai esistesse rappresenterebbe una sorta di sconfessione e di offesa nei confronti del Presidente della Repubblica che lo ha nominato senatore a vita, il personaggio in questione potrebbe tranquillamente comportarsi in questo modo.

Perché, allora, è assolutamente improbabile che Mario Monti, deludendo quanti sperano in una sua discesa in campo a sostegno dell’area di centro, possa decidere di  seguire l’indicazione di Giorgio Napolitano rinunciando alla partecipazione alle elezioni ed aspettando a Palazzo Chigi la quasi sicura successione a se stesso alla guida del governo nella prossima legislatura?

La risposta è semplice. Monti non sarà un politico professionista ma sa fare di conto. E non può non aver calcolato che se mai decidesse di scendere ora in campo e capeggiare una lista centrista in cui aggregare non solo l’Udc di Casini ma anche gli amici di Montezemolo e Riccardi e qualche frangia scissionista del Pdl, otterrebbe un risultato modesto da un punto di vista numerico e fallimentare da un punto di vista politico.

Numericamente una lista montiana, chiusa a destra ed alternativa alla sinistra, supererebbe a malapena il dieci–quindici per cento dei consensi. Potrebbe, visto che né la sinistra e tanto meno la destra sembrano destinate ad avere la forza di dare vita ad una maggioranza autonoma, tentare di seguire lo schema dei “due forni” tanto caro a Pier Ferdinando Casini e cercare di diventare il terno di maggioranza variabili. Ma lo farebbe al prezzo di diventare un soggetto politico come tutti quelli tradizionali e di perdere quella caratteristica di super partes che gli ha permesso di diventare Presidente del Consiglio senza alcuna investitura popolare e che può assicurargli non solo la successione a se stesso a Palazzo Chigi ma, addirittura, quella a Napolitano al Quirinale.

Monti, dunque, non ha alcuna convenienza a farsi trascinare nella campagna elettorale da quanti si dicono montiani ed hanno scoperto la possibilità di salvare con il suo nome la propria carriera politica. 

Ha, al contrario, l’interesse esattamente opposto. Che è quello di seguire le indicazioni del suo inventore come uomo di governo, cioè del Capo dello stato e mettersi serenamente alla finestra in attesa che la nottata elettorale passi. Ed ancora una volta l’Europa e Napolitano tornino ad indirizzare la politica italiana verso la formazione di un esecutivo emergenziale che rimetta in ordine i conti dello stato facendone pagare il prezzo ad una società nazionale per troppo tempo abituata a vivere al di sopra delle proprie possibilità.

Naturalmente la conferma della  “terzietà” di Monti complica la campagna elettorale dei cosiddetti montiani di area centrista e costringe quelli che vorrebbero trasformare il “professore” nel federatore dell’intero centrodestra a rinviare a dopo il voto il progetto di dare vita ad un Ppe italiano. E questo ridà fiato alla speranza di Pierluigi Bersani di poter portare la sinistra al governo a dispetto delle volontà delle cancellerie europee e delle preoccupazioni del Quirinale. Il leader del Pd tenterà fino all’ultimo di conquistare la possibilità di entrare da trionfatore a Palazzo Chigi. Anche rispolverando e ritoccando la foto di Vasto sostituendo l’immagine di Antonio Di Pietro con quella dei dipietristi scissionisti. Ma ora l’impresa per lui si fa più difficile. Perché il suo vero antagonista è venuto alla luce. Ed ha il il volto di Monti con alle spalle quello di Napolitano e dietro ancora quello dei governanti europei.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:19