Terza Repubblica: le incognite

In teoria lo schema è semplice. Ed ancora una volta bipolare. Da un lato la sinistra di Bersani-Vendola, dall’altra lo schieramento di centro aperto a pezzi della destra del Pdl sostenitore del Monti-bis. Nella pratica la faccenda è molto diversa. Non solo perché le primarie del Pd, pur essendo destinate a sancire la vittoria dell’attuale segretario appoggiato dalla vecchia nomenklatura in cui è rientrato Vendola nella prospettica della ricostruzione del vecchio Pci, finiranno anche col sancire ufficialmente l’apparizione dell’incognita-Renzi sulla scena politica italiana. Che farà, infatti, l’ex sindaco di Firenze dopo essere uscito sconfitto dalla morsa preparatagli da Bersani e dagli invecchiati dirigenti e funzionari dell’ex Pci? Rientrerà nei ranghi accontentandosi di qualche posto marginale nel Pd o si arroccherà a Palazzo Vecchio nella giusta previsione che dopo averlo sconfitto la nomenklatura di sinistra punterà a distruggerlo ed eliminarlo?

Questi interrogativi sono aperti. Ed è facile prevedere che se la loro risposta fosse la rottura di Renzi dal Pd, la prossima campagna elettorale prenderebbe una piega totalmente diversa da quella dello schema preventivato Bersani contro Monti. Nella ipotesi più fantasiosa il bipolarismo tornerebbe ad essere quello delle attuali primarie del Pd ma con posizioni di forza totalmente ribaltate. Renzi potrebbe diventare il catalizzatore dello schieramento montiano e Bersani della sinistra nostalgica ed estremista. In quella più realistica il bipolarismo lascerebbe il posto ad una miriade di poli destinati a provocare l’ingovernabilità certa nel dopo elezioni e la necessità di una nuova fase emergenziale prima del definitivo chiarimento politico da effettuare con il ritorno a breve a nuove elezioni. Ma le incognite non riguardano il campo della sinistra con il dilemma-Renzi. Gravano in eguale misura anche sullo schieramento che nella testa dei neo-centristi dovrebbe diventare alternativo alla sinistra. In apparenza, infatti, il passo indietro di Silvio Berlusconi dovrebbe favorire la formazione di un Ppe italiano con Alfano, Casini, Montezemolo, Riccardi, Bonanni e chi tutti i fermenti in atto della cosiddetta società civile convinti che possa essere Monti il federatore dei moderati italiani. Ma Casini non vuole l’alleanza con il Pdl. Punta ad aggregare pezzi del Pdl stesso. Cioè ha come obbiettivo la spaccatura del partito fondato da Berlusconi. Obbiettivo, ovviamente, che neppure un Alfano in parte affrancato dal Cavaliere può accettare se non vuole finire anzitempo la propria avventura politica. Al tempo stesso l’eventualità che Montezemolo ed i suoi alleati e sostenitori possano convincere Casini ed Alfano a ritrovarsi senza propositi reciprocamente omicidi sotto lo stesso tetto, appare estremamente aleatoria. Sia perché Montezemolo si pone come ispiratore ma non come artefice del progetto incentrato sul ruolo federatore di Monti. Ed è difficile che un progetto del genere possa andare avanti se chi lo propone esclude preventivamente di poter partecipare alla sua realizzazione. Sia perché Monti non federerà in bel niente prima delle elezioni ma sembra disposto a farlo solo dopo il voto e sempre che ci siano le necessarie condizioni politiche. Ed una federazione senza un promotore attivo e con il federatore passivo difficilmente può diventare tale e giocare un qualche ruolo determinante in campagna elettorale. Sia, infine, per una circostanza su cui nessuno sembra aver posto una grande attenzione ma che rappresenta l’elemento di massima debolezza del cosiddetto schieramento montiano. Chi propone la Terza Repubblica si guarda bene dal chiarire di quale Repubblica si possa trattare. Un silenzio che nasconde l’inconciliabilità assoluta tra chi la vorrebbe presidenziale e chi parlamentare. Ma che pesa come un macigno inamovibile sulla credibilità su chi propone agli italiani di andare verso una direzione che però non sa e non vuole indicare.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:38