Il marchio Monti non può bastare

Pensavate di averle viste di tutte? Vi sbagliavate. Il meglio deve ancora venire: il meglio del peggio, s’intende. Nel weekend Montezemolo ha lanciato la sua alleanza con l’associazionismo cattolico-solidarista “Verso la Terza Repubblica” (tutta gente che ha pasteggiato allegramente anche nella prima e nella seconda) in appoggio al Monti-bis. La non discesa in campo del presidente della Ferrari dà vita all’ennesimo paradosso della politica italiana: un non candidato che lancia una lista per sostenere un’altra non candidatura, quella di Mario Monti a Palazzo Chigi. Un’operazione davvero troppo fumosa, persino per i tempi eccezionali che viviamo. Monti non si candida, nemmeno Montezemolo (e nemmeno Bonanni), ma ci sarà una lista Montezemolo col nome di Monti nel simbolo e come programma.

Una fiduciaria, un franchising, più che una lista civica. Afferriamo l’idea di porre fine alla stagione dell’uomo solo al comando, ma questa sorta di “leading from behind” – metterci la faccia e anche la firma, ma senza scendere in campo, senza misurarsi personalmente nelle urne – offre davvero maggiori garanzie di serietà e trasparenza rispetto agli interessi, evidentissimi, di cui la lista LCdM-Todi è espressione? Ci sarà dato di sapere almeno se il professore ha effettivamente concesso a Montezemolo & soci il diritto di “commercializzare” politicamente il suo ben affermato marchio, o se invece si tratta di uno sfruttamento non autorizzato? Davvero pensa di appaltare a tali “scudieri” (Montezemolo, Bonanni, Riccardi, Casini, Fini) il compito di fornirgli una legittimazione elettorale, senza degnarsi di esporre lui stesso agli italiani la sua agenda per i prossimi anni? E se la sente il presidente del Consiglio di garantire sui candidati che saranno inseriti (da chi?) nelle liste che invocano il suo bis? Il guaio, dal punto di vista politico, è che il marchio Monti rischia di rivelarsi poco più che una furba trovata dei Montezemolo e dei Casini per risparmiarsi l’onere di approfondire la loro proposta programmatica.

Insomma, non serve faticare troppo per spiegare agli italiani che cosa vogliono fare in concreto: il riferimento a Monti basta e avanza. Ma così è difficile scorgere nell’operazione LCdM-Todi qualcosa di più di una lobby centrista alla ricerca di un posto al sole nel probabile bis del professore. Si dirà che tanto il programma è obbligato, e tutti lo conoscono. Come dice Napolitano, «Monti ha segnato il cammino ai partiti». Vero solo in parte.  Prima di tutto, perché il marchio Monti significa molte cose: alcune le ha fatte bene, alcune meno, mentre in altre ha fallito. Sarebbe interessante capire in concreto rispetto a cosa dovrebbe esserci «continuità». Inoltre, se la mera «continuità» con l’esperienza Monti è una garanzia dal punto di vista della cultura di governo, non può bastare, invece – lo ammetteranno anche i più montiani – dal punto di vista dei contenuti. O meglio, dipende da come si pensa di uscire dalla crisi italiana: cambiando il paese da cima a fondo, oppure manovrando con astuzia sperando, con l’aiuto dell’Europa, che il costo del nostro debito torni magicamente ai livelli pre-crisi? Nel secondo caso, potrebbe bastare la sola presenza di Monti a Palazzo Chigi, nel primo no.

Ci sta che in questo anno il professore, ritrovatosi all’improvviso il timone tra le mani, non abbia voluto rischiare una virata a 180 gradi che avrebbe potuto ribaltare la barca Italia e far finire in mare milioni di connazionali. E così si è limitato ad usare la leva più immediata e sicura: più tasse. Ma ora, pur nei vincoli di bilancio ristrettissimi, qualche spazio di manovra c’è. Per esempio, Draghi insiste nel raccomandare un risanamento meno recessivo, centrato cioè sui tagli alla spesa e non su aumenti di tasse. Avendo Monti fino ad oggi intrapreso la via opposta, una volta rientrato a Palazzo Chigi quale rotta intende seguire? Insomma, se l’operazione Monti-bis è cambiare il paese, ma senza proclami per non spaventare l’elettorato e i “poteri forti”, e per evitare di infiammare le piazze, tatticamente può avere un senso. Il dubbio, tuttavia, guardando l’operato di questi mesi, gli scudieri che accorrono ansiosi e il suo silenzio sull’agenda per i prossimi anni, è che l’obiettivo sia minimale: tenersi a galla aspettando che la tempesta passi, ma sostanzialmente senza cambiare il paese e, dunque, garantendo tutti i soggetti interessati al mantenimento dello status quo.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:38