I giornalisti tra galera, crisi e delegittimazione

I giornalisti italiani sono finiti in una morsa mortale. Da un lato sono pressati da Beppe Grillo e da una parte dell’opinione pubblica nazionale che li definisce dei venduti ai loro padroni, dall’altro sono minacciati dalla classe politica che ripristina il carcere per la diffamazione allo scopo di punirli e di intimidirli per le loro campagne anti–casta. E non basta. Perché a formare la morsa ci sono anche gli editori che dall’alto scaricano sulla categoria degli addetti all’informazione i cali di vendite e di pubblicità e le conseguenze della loro politica editoriale fatta più per perseguire i propri interessi economici e finanziari che per assicurare una informazione corretta e pluralista. E c’è il mondo sempre più ampio dei normali cittadini che, dal basso e grazie all’uso sempre più allargato della rete, realizza una informazione di base a costo zero che schiaccia verso l’alto, cioè verso gli interessi estranei al mercato dell’informazione dei padroni dei media, la categoria professionale dei giornalisti.

Questi ultimi, bisogna pure ammetterlo, se la sono cercata. Il disprezzo di cui sono oggetto da parte di una opinione pubblica che ha trovato in Grillo il proprio rappresentante è il frutto della convinzione invalsa tra i cittadini e mai contrastata e smentita dai fatti che l’informazione non abbia più nulla di autonomo ma sia ormai solo al servizio dei potenti, politici o banchieri che siano. Il risentimento furibondo ed ottuso della classe politica è la conseguenza dell’accanimento con cui l’intero mondo dell’informazione ha cavalcato e continua a cavalcare, non per motivi ideali ma solo per interessi editoriali, l’ondata di antipolitica esistente da tempo nel paese. A loro volta la pressione dall’alto di editori–padroni che, non potendo delocalizzare i media per uscire dalla crisi come fanno per le aziende manifatturiere si concentrano sulla riduzione dei posti di lavoro, è il risultato di anni di totale passività e di mancanza di vitalità di una categoria apparentemente rassegnata al proprio declino. E lo schiacciamento che viene dal basso non è altro che la conseguenza della incapacità dei professionisti dell’informazione a recepire ed impiegare, con tutte le inevitabili ripercussioni normative, contrattuali ed economiche del caso, le innovazioni tecnologiche che spostano sulla rete gran parte della tradizionale informazione cartacea e televisiva. Immaginare una uscita vittoriosa da questo assedio serrata su quattro lati è una pia illusione.

Ma incominciare ad utilizzare gli strumenti in proprio possesso per sollevare il problema che solo una informazione corretta assicura il migliore funzionamento di una democrazia moderna, è pur sempre possibile. Ed è l’unico modo per allentare una morsa che può, in un colpo solo, mortificare definitivamente una categoria e trasformare una democrazia avanzata in un vecchio stato autoritario.

Certo, non è facile fare autocritica ed al tempo stesso convincere l’opinione pubblica che per uscire dalla crisi sia indispensabile una informazione non asservita, non condizionata, non intimidita e non ridotta ai minimi termini. Ma non c’è altra strada.Le ragioni di Grillo, dei politici, degli editori–padroni e dell’informazione fai da te della rete vanno bilanciate dalle ragioni della democrazia liberale.

Una democrazia che non mette in galera i giornalisti ma che impedisce anche loro di essere servi, lottizzati o preoccupati solo della tutela dei propri privilegi di casta.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:14