Pier Ferdinando Casini non ha perso tempo nel dichiarare morta e sepolta l’esperienza di governo fatta insieme con il Pdl e le altre forze del centrodestra a Roma e nella regione Lazio. Anzi, non solo non è si limitato e definire chiusa quella alleanza amministrativa ma ha addirittura negato che l’alleanza sia mai avvenuta. Come a voler sottolineare come non sia possibile in alcun modo di ipotizzare la riesumazione di una formula di governo locale che non è mai esistita.
Naturalmente tutti sanno che l’Udc ha partecipato attivamente alla giunta guidata da Gianni Alemanno ed è stato un alleato riconosciuto e fin troppo premiato della ex presidente del Lazio, Renata Polverini. Ma la scoperta che Casini voglia negare anche l’evidenza non stupisce nessuno. Perché, a cominciare da Pier Luigi Bersani che preconizza una futura intesa di governo con l’Udc, tutti conoscono la tendenza al tatticismo del leader centrista e la sua predilezione assoluta per la politica dei due forni. E nessuno si scandalizza se Casini dice le bugie per preparare adeguatamente la risalita del partito centrista sul carro del presunto prossimo vincitore delle elezioni amministrative e politiche. Se il Pdl e la Lega fossero rimasti fermi ai livelli di consenso delle ultime tornare elettorali oggi l’Udc tratterebbe con loro una futura alleanza di governo nazionale e locale facendo pesare il proprio peso marginale ma determinante. Visto che il vincitore in pectore è il Pd, ecco che Casini tratta con Bersani e si prepara a fare accordi con Bersani per le giunte di Roma e del Lazio.
Niente stupore e niente scandalo, allora. Ma solo una considerazione che non riguarda più il tatticismo, la disinvoltura e la capacità manovriera di Casini ma il fatto incontestabile che la politica dei due forni non può essere considerata come un fattore di cambiamento ma sempre e comunque come un elemento di continuità. Con i due forni, in sostanza, cambiano le alleanze ma i poteri reali rimangono saldamente al loro posto. Senza scossoni, senza traumi, senza rinunce di alcun genere. Ora può anche essere che a livello nazionale il paese abbia bisogno di continuità e che non possa permettersi alcun cambiamento, visto che l’Europa impone per i prossimi anni il rispetto della politica economica indicata a suo tempo a Mario Monti e puntualmente applicata dal nostro presidente del Consiglio.
Ma questa continuità vale per la politica nazionale. L’Europa non impone nulla a livello locale. Almeno su questo terreno lascia liberi i cittadini italiani di decidere se lasciare al loro posto i poteri che di fatto hanno guidato, ispirato e condizionato le amministrazioni. O se, al contrario, non scegliere di incominciare a cambiare per liberare le città e le regioni dagli interessi dei soliti privilegiati. A Milano la sinistra chiede non solo la sostituzione di Roberto Formigoni ma anche lo smantellamento dell’asse di potere tra Comunione e Liberazione e Lega. A Roma e nel Lazio, invece, dove la Lega non c’è e Comunione e Liberazione è debole, la sinistra e Casini promettono di cambiare tutto per lasciare tutto assolutamente al proprio posto. Non è un caso che alla festa del padre del Pd romano, Goffredo Bettini, ci sia stata una sorta di sfilata di tutti i principali costruttori romani, quelli che avevano flirtato con Alemanno e con la Polverini. Ed è fin troppo evidente che l’Udc si pone come il perno della nuova alleanza nella Capitale e nella Regione Lazio tra i costruttori e la sinistra romana del mattone. In fondo, come tutti i romani che non la bevono sanno perfettamente, si scrive Casini ma si legge Caltagirone.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:11