Grillo, il Pd e le spoglie dell’Idv

È solo una lotta al coltello per la propria sopravvivenza politica quella che è scoppiata nell’Italia dei Valori tra gli oppositori dell’ultima ora di Antonio Di Pietro e il padre-padrone del movimento nato dalla rivoluzione giustizialista di Mani Pulite.

Le scoperte e le denunce di Report sono solo il pretesto apparente. Perché tutti sapevano tutto delle case e della gestione personalistica di Di Pietro dei finanziamenti e della struttura interna dell’Idv. E nessuno, fino alla settimana scorsa, né dentro, né fuori l’Italia dei Valori si era minimamente scandalizzato o aveva alzato una qualche voce di protesta nei confronti dell’ex Pm di Mani Pulite.

La verità è che dalla settimana scorsa ad oggi ci sono state le elezioni siciliane. Che hanno messo tutti quelli che avevano saputo ed avevano taciuto di fronte ad un dato incontrovertibile. Alle prossime elezioni politiche l’Italia dei Valori rischia di non avere, come nell’Assemblea siciliana, alcuna rappresentanza parlamentare. Di fronte a questa indicazione difficilmente contestabile qualunque sia il sistema elettorale con cui verrà rinnovato il Parlamento (l’Idv non è in grado di superare alcun tipo di sbarramento, né quello dell’attuale 4% né il 5% di una sempre più ipotetica nuova legge di tipo proporzionale), il partito si è spaccato tra chi, come Massimo Donadi, spera nella sopravvivenza puntando a realizzare una alleanza con Pd e Sel sacrificando Di Pietro ed i suoi fedelissimi e chi , come Di Pietro, consapevole che il proprio nome impedisce ogni intesa con Bersani, Vendola e Casini, vede la propria salvezza nella confluenza obbligata con il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo.

In questa partita non c’è traccia di morale, di etica, di mani pulite, di virtù civile o di rivoluzione giudiziaria. Chi contesta Di Pietro dentro l’Idv lo fa solo perché sa bene che qualsiasi riparo personale nell’alleanza di Bersani, Vendola e Casini passa attraverso l’eliminazione del fondatore e padre-padrone del partito. A sua volta Di Pietro, pienamente cosciente che i suoi ex amici lo vogliono politicamente morto per salvare la propria pelle, si rivolge a Grillo nella giusta convinzione di poter trovare accoglienza in un movimento che, fagocitando i dipietristi ed il loro leader, non dividerebbe con nessun il ruolo di unica e grande forza di opposizione del paese.

Si tratta, dunque, di una partita esclusivamente politica. Che non è giocata solo dai due schieramenti contrapposti dell’Idv ma dalle forze politiche che, dall’esterno, favoriscono e spingono in favore dello smembramento del partito giustizialista nella prospettiva di dividersene le spoglie. La decisione di Beppe Grillo di lanciare la candidatura di Di Pietro alla Presidenza della Repubblica è il segno più evidente di questo interesse dei grillini per il 2% o il 3% del voto dei dipietristi. E lo stesso vale per il Pd di Pierluigi Bersani, che punta ormai ad andare al voto con il Porcellum e che spaccando l’Idv può sperare di recuperare quell’1% o quel 2% necessario per conquistare la maggioranza non solo alla Camera, ma anche al Senato.

La divisione del consenso dell’Idv tra Pd e Movimento 5 Stelle fa parte di un fisiologico processo di semplificazione del quadro politico? Probabilmente si. Ma sarebbe interessante sapere da dove sia partito l’innesco di questa semplificazione. Non perché saperlo possa cambiare qualcosa. Ma in omaggio all’antica regola giustizialista che il sospetto è l’anticamera della verità.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:33