Pdl, non è il momento di essere “choosy
La doppia mossa di Berlusconi (ritiro e primarie) era l’unica possibile, necessaria anche se non sufficiente, per tentare di rianimare il Pdl e rifondare il centrodestra. Ora occorre che siano primarie credibili: le più aperte possibili nelle regole, per attirare il maggior numero di elettori, non solo i militanti, e candidature estranee alla nomenclatura del partito; che non siano le vecchie facce a infestare tv, radio e giornali, monopolizzandone la comunicazione; e che si confrontino linee politiche davvero differenti, perché il Pdl, e un ipotetico nuovo centrodestra, ha urgente bisogno di sciogliere la matassa ormai indistinguibile della sua politica economica, il cui bandolo negli anni si è perso, tra la mutazione del tremontismo e veri e propri rigurgiti assistenzialisti. I deputati del Pdl in Commissione Lavoro (con la sola eccezione di Cazzola) hanno votato, insieme al Pd, un aumento delle tasse per sussidiare gli esodati. Come dimostra l’agguerritissima corsa nel centrosinistra, le primarie fanno bene ai partiti che le organizzano. Il Pd ci ha guadagnato: in centralità nel dibattito politico, mobilitazione della propria base, interesse suscitato nell’elettorato potenziale e, dunque, anche qualche punto nei sondaggi.
Anche se personalità e gruppi esterni decidessero di non prendervi parte, e dovessero quindi ridursi ad un confronto interno, praticamente un congresso di 6-7 settimane, le primarie non potranno nuocere al Pdl più dell’attuale immobilismo. Per questo, per chi ambisce a liquidare il Pdl, o a rinnovare il centrodestra, restare a guardare potrebbe rivelarsi politicamente costoso. La diffidenza è comprensibile, ma il definitivo passo indietro di Berlusconi e le primarie tolgono molti alibi ai vecchi e nuovi attori troppo “choosy”. Rappresentano una indiscutibile novità e opportunità di rinnovamento, sia della struttura sia del ceto politico del centrodestra. Si può diffidare delle reali intenzioni del Pdl, ma se la precondizione per l’avvio di qualsiasi dialogo era il ritiro di Berlusconi e la contendibilità della leadership, ora bisogna almeno sedersi al tavolo per andare a vedere le carte. C’è il tatticismo esasperato di Casini, che però a forza di aspettare il cadavere del Pdl passare, potrebbe morirci sulla riva del fiume. E c’è la preoccupazione legittima di chi vuole presentarsi come novità assoluta (vedi Fermareildeclino e Montezemolo) di non sporcarsi le mani con un ceto politico ormai compromesso. Ma a meno di non avere le forze per puntare ad essere maggioritari, la politica è anche “sporcarsi le mani”, mettersi in gioco, farsi contare, se non si vuole essere velleitari. Assisteremo a primarie-farsa pro Alfano? Se così fosse, però, la responsabilità sarebbe anche degli ipotetici sfidanti troppo “choosy”. Troppo “choosy” sembra anche il premier Monti. Nella sua nota Berlusconi ha implicitamente tracciato una linea di continuità tra la sua esperienza politica (almeno quale era alle origini e nelle sue intenzioni) e «la chiara direzione riformatrice e liberale» del professore. Ovvio che oggi Monti non possa far altro che respingere «l’idea» a cui Berlusconi non vuole rinunciare, cioè di vederlo «a capo di uno schieramento dei moderati». Non può accettare l’abbraccio mortale dei vecchi e compromessi partiti, ma se davvero pensa che l’Italia non abbia «affatto bisogno di politiche moderate, ma di riforme radicali», in senso liberale, sbaglierebbe a non “politicizzarsi”, a puntare sulle larghe intese anziché su una maggioranza politica.
Ma a meno di non avere le forze per puntare ad essere maggioritari, la politica è anche “sporcarsi le mani”, mettersi in gioco, farsi contare, se non si vuole essere velleitari. Assisteremo a primarie-farsa pro Alfano? Se così fosse, però, la responsabilità sarebbe anche degli ipotetici sfidanti troppo “choosy”. Troppo “choosy” sembra anche il premier Monti. Nella sua nota Berlusconi ha implicitamente tracciato una linea di continuità tra la sua esperienza politica (almeno quale era alle origini e nelle sue intenzioni) e «la chiara direzione riformatrice e liberale» del professore. Ovvio che oggi Monti non possa far altro che respingere «l’idea» a cui Berlusconi non vuole rinunciare, cioè di vederlo «a capo di uno schieramento dei moderati». Non può accettare l’abbraccio mortale dei vecchi e compromessi partiti, ma se davvero pensa che l’Italia non abbia «affatto bisogno di politiche moderate, ma di riforme radicali», in senso liberale, sbaglierebbe a non “politicizzarsi”, a puntare sulle larghe intese anziché su una maggioranza politica.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:36