L'uscita dalla crisi e le unioni gay

A differenza di quanto dichiarato da Pierluigi Bersani non è stata una «bella giornata per l’Italia» quella di venerdì scorso in cui il segretario del Pd ha sottoscritto l’alleanza con il Sel di Niki Vendola e l’ultima riedizione in miniatura del Psi guidata da Riccardo Nencini. E non perché ha creato le condizioni per uno spostamento a sinistra dell’asse politico del paese, evento che sarebbe addirittura auspicabile visto l’incredibile processo di autoaffondamento in atto da parte dello schieramento alternativo di centro destra. Ma perché ha gettato le basi di una operazione diretta a mettere il paese nelle mani di una classe politica che non ha una sola idea o proposta per uscire dalla crisi tranne quella di conservare e rinforzare le proprie posizioni di potere.

Questa operazione è destinata a svilupparsi in più fasi distinte. La prima è quella che passa attraverso la riaffermazione della leadership di Bersani sul Pd grazie ad un meccanismo che gli garantisce la vittoria sullo sfidante Matteo Renzi in cambio di una sterzata neo-comunista alla linea del partito. L’alleanza con Vendola, infatti, non scatta dopo il voto della prossima primavera. Scatta immediatamente. Nel secondo turno delle primarie in cui i voti del governatore pugliese e leader di Sel serviranno a Bersani per chiudere in maniera definitiva la fastidiosa pratica del sindaco di Firenze. Il segretario del Pd sa bene che il prezzo di questa vittoria garantita dal sostegno di Vendola sarà la trasformazione del proprio partito in una sorta di nuovo Pci. Con il ritorno a casa dei vendoliani fermi alla copia farsesca del vecchio marxismo-leninismo ed il recupero della fettina frontista di un movimento socialista privo di qualsiasi futuro. Ma Bersani sa ancora meglio che questo spostamento a sinistra del Pd non comporta rischi eccessivi. Una volta uscito sconfitto dalle primarie al povero Renzi toccherà in sorte di subire quella rottamazione che minaccia ai suoi avversari. E gli oppositori interni, dai veltroniani ai prodiani fino ai cattolici democratici di Bindi, Franceschini e Letta sono cagnolini che abbaiano per avere qualche osso di consolazione e se minacciano di mordere è solo per rendere consistente in termini di posti la cosiddetta consolazione.

Certo, può essere che un Pd tutto sbilanciato a sinistra a causa dell’alleanza con Vendola possa perdere qualche elettore di centro. 

E, anche con la nuova legge elettorale che prevedere il premio di maggioranza alla coalizione vincente, non riuscire a raggiungere nel nuovo Parlamento gli alti numeri capaci di garantire una stabile navigazione al governo Bersani. 

Ma il leader del Pd sa bene che nella prossima legislatura nessun governo, neppure quello più spostato a sinistra, potrà permettersi di non rispettare le richieste europee che fanno parte della cosiddetta Agenda Monti. Cioè sa bene che anche in caso di vittoria e di premio di maggioranza non potrà fare a meno di dare vita ad un governo di coalizione sollecitando l’Udc di Casini ad accettare la proposta di realizzare un patto tra progressisti e moderati. Nella sua ottica, però, questo patto non potrà essere tra soggetti diversi e provvisti di pari peso e dignità. Dovrà essere un patto leonino in cui il Pd la farà da padrone e l’Udc svolgerà il ruolo di foglia di fico prima di essere definitivamente fagocitato come i cagnolini ex popolari.

È disposto Casini a comportarsi come gli “utili idioti” del passato? Ed il centro destra può continuare ad autoffondarsi di fronte alla pericolo che il paese finisca nelle mani di chi come ricetta per uscire dalla crisi non sa proporre altro che il matrimonio tra gay?

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:17