La crisi ai tempi dei social network

Ci vogliono le spalle larghe per sopportare l’annichilimento mediatico che piove ogni giorno da giornali, tv, radio, internet e social network. Crisi economica, spread altalenante, paesi in bilico, l’intera Europa che barcolla, violenza e criminalità che aumentano in modo direttamente proporzionale all’impoverimento generale e all’incertezza imperante, l’estremismo islamico che uccide, si allarga a macchia d’olio e lavora per conquistare tutto il confine meridionale europeo nel silenzio e nel disinteresse generali, l’antisemitismo che riesplode nel cuore dell’Europa, la Siria che tortura e massacra i suoi bambini, l’Iran che gioca indisturbata al piccolo chimico con buona probabilità di essere presto in grado di cambiare drasticamente la cartina geografica del Medioriente, e molto, molto altro.

In mezzo a questa bufera quelli che riescono a tenere la testa fuori dall’acqua sono i giornalisti, che si cibano dello stesso veleno che distribuiscono con una certa estraneità, come i medici che a forza di vederne di tutti i colori smettono di immedesimarsi e impietosirsi. Bisogna pur sopravvivere. So bene che per il giornalista la priorità è la notizia, la rassegna stampa, sapere, scrivere, ragionare. In una parola, lavorare. Sì, ma oggi non mi va di lavorare. Oggi mi prendo una pausa e vesto i panni dell’altra me: la cittadina, la donna, la madre, la moglie, la persona che combatte la battaglia quotidiana per la vita, una battaglia che si è fatta sempre più difficile e che è scandita da domande oramai divenute ossessive: ce la faremo anche questo mese? L’euro sopravviverà? Siamo in grado di pagare tutto? I conti sono in ordine? I documenti fiscali sono a posto? Questa medicina sarà prescrivibile? Possiamo permetterci questa visita urgente? Ci saranno prodotti in offerta al supermercato? Questo lavoro me lo pagheranno? Quanto costa la benzina oggi? Prendo la macchina o vado a piedi? Quale scuola per nostro figlio? Ce la facciamo a fargli fare un’attività extrascolastica? Come pagheremo il mutuo se la crisi peggiorerà? Che faremo se dovessimo ammalarci? Dormirò stanotte?

No, penso di no. Meglio prendere le gocce. È così che il cittadino subisce sulla propria pelle una realtà su cui ha un potere limitato, come le notizie di cui giornalisti e commentatori parlano e dibattono in tv e sulla carta stampata, spesso con il distacco di chi sta comunque dall’altra parte della barricata, anche se poi, di fatto, non è così. Perché, con le dovute proporzioni, nei guai fino al collo ci stiamo tutti e la rabbia si diffonde in modo assolutamente democratico: senza distinzione di classe, ceto, reddito. Ma, d’altronde, come si fa a rimanere calmi con gli scandali che travolgono l’Italia da nord a sud, i partiti che si disfano, le faide interne, le scaramucce tra rappresentanti del vecchio establishment (incollati alla propria inutile superbia) e giovani rampanti non sempre sufficientemente concreti, per non parlare dei terzi incomodi che festeggiano la vittoria di Chavez sperando di riportare indietro le lancette della storia di un paio di secoli? Come si fa a non scoraggiarsi di fronte ad una politica che continua a non vedere oltre il proprio naso, isterica tra le pastoie di una legge elettorale che non si sa se riuscirà mai a partorire, e il fuggi fuggi generale di chi, in vista delle elezioni, smania per lasciare incarichi subalterni e puntare dritto al Parlamento?

È in questo quadro generale che il governo si riunisce fino a notte tarda per varare una serie di provvedimenti. Per la crescita, pensano tutti. Sbagliato. Spiccano, tra le decisioni prese, il taglio di un punto percentuale dell’Irpef per i redditi fino a 28mila euro, l’aumento dell’Iva e i tagli della nuova spending review: 600mila euro nel settore sanità e l’operazione “cieli bui”. Quest’ultima, in particolare, sembra un effettivo incentivo agli unici settori che non soffrono la crisi: criminalità e psicoanalisi. Più oscurità per tutti. Anche la minaccia di un ulteriore taglio alla sanità  dà da tremare. Essendo arcinoto che il buco nero del settore è determinato dagli sprechi e dalla malagestione, sarebbe forse opportuno concentrarsi sulla trasparenza della spesa e il controllo della dirigenza, o altrimenti farsi una passeggiata per i reparti e parlare con qualche capoinfermiere. Per scoprire che ogni singola benda viene protetta sottochiave per evitare che finisca in un altro reparto in cui mancano perché “rubate” da un altro reparto ancora e così via. Le fasce come qualsiasi altra cosa.

Spariscono persino le fotografie, quelle che testimoniano il percorso di guarigione, magari, di una ferita da decubito o da diabete e che vengono usate a scopo didattico. E l’Iva? Compensata dal taglio dell’Irpef? Nemmeno per idea. Perché l’aumento si cumula. Non solo all’aumento di un punto percentuale già effettuato dal governo Monti all’inizio del mandato, ma ai rincari determinati in ogni singolo settore. Col risultato che il prezzo del prodotto finale e’ fissato dall’insieme degli aumenti della benzina, dell’elettricità, del trasporto, delle materie prime... Con tutto ciò che ne deriva in termini di produttività, occupazione, reddito. Una rovina. Ma, per tirarmi su, posso sempre ricordare a me stessa che c’è la concreta possibilità che fra un paio di mesi l’Iran abbia messo a punto la bomba atomica, e che tutti questi problemi si trasformeranno, improvvisamente, in chiacchiere da cortile.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:32