Sono sempre più convinto che le attuali forze rappresentate in Parlamento, per le più disparate ragioni, siano sostanzialmente incapaci di realizzare quel tanto auspicato cambio di passo onde far uscire l’Italia dalla crisi, arrestando un declino in atto da molti lustri. E proprio in questi giorni si è avuta l’ennesima riprova di tale assunto.
È stato infatti approvato dalla commisione Lavoro della Camera un disegno di legge, che vede come primo firmatario il democratico Cesare Damiano, con il quale, attraverso una serie di scalini, si vorrebbe consentire a molti soggetti di andare in pensione a 58 anni, con 35 di contributi, fino al 2017. Ora, il progetto è stato sostenuto quasi all’unanimità dai partiti, coinvolgendo nell’ennesimo attentato alla nostra stabilità finanziaria maggioranza e opposizione.
Evidentemente, incuranti dei ben 5 miliardi di nuove spese che una simile iniziativa comportebbe, gli stessi partiti hanno pensato bene, in vista delle imminenti elezioni, di posizionarsi sulla solita, catastrofica linea del cosiddetto “deficit spending”. E così, analogamente a ciò che accadeva durante la prima Repubblica - in cui oltre il 90% delle leggi di spesa venivano approvate in forma consociativa -, anche adesso ci ritroviamo con una classe politica che si ricompatta in modo formidabile quando capita l’occasione di utilizzare le risorse pubbliche per i propri privilegi di casta o per sostenere con i soldi degli altri il relativo consenso elettorale.
E se per il momento dobbiamo registrare con soddisfazione l’immediata bocciatura del citato ddl da parte del governo e della Ragioneria dello Stato, dovrebbe risultare evidente a tutti che il ritorno alla vecchia logica che ci ha condotti sull’orlo del baratro non potrà che infliggere il colpo di grazia ad un sistema affetto da un eccesso di spesa pubblica. Tanto è vero che proprio sul tema degli esodati, il cui numero viene continuamente dilatato per ragioni di consenso, assistiamo ad una penosa processione mediatica, nella quale politici di tutte le estrazioni fanno a gara nel promettere costose scialuppe di salvataggio previdenziale a destra e a manca.
Naturalmente i più agguerriti sotto questo punto di vista risultano essere i rappresentanti di quella sinistra bersanian-vendoliana la quale, se per sciagura dovesse vincere le prossime elezioni, smantellerebbe d’un botto l’unica riforma seria, quella delle pensioni, realizzata dall’esecutivo dei tecnici. Con ciò ripetendo la sciagurata decisione dell’ultimo, fallimentare governo Prodi di abolire il famoso scalone. Decisione che comportò un costo aggiuntivo di oltre 10 miliardi di euro. D’altro canto, a questi altruisti con i soldi degli altri queste scelte non costano nulla. A pagare è sempre e comunque lo stremato Pantalone.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:37